Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  del
Consiglio   superiore   della   Magistratura,    in    persona    del
vice-presidente pro tempore Giovanni Legnini, rappresentato e difeso,
come da procura a margine del presente atto, dal prof.  avv.  Alfonso
Celotto (C.F. CLTLNS66B23C129E) presso il cui studio, in  Roma,  alla
via Emilio de'  Cavalieri,  n.  11,  elegge  domicilio  (si  desidera
ricevere le informazioni inerenti il giudizio a  mezzo  indirizzo  di
pec: alfonso.celotto@pec.it ovvero al fax al n. 06-84085170); 
    Contro la Corte dei conti, in persona del  legale  rappresentante
pro tempore in relazione alla  illegittima  pretesa  di  assoggettare
alla resa del conto ai sensi dell'art. 44 del regio decreto  n.  1214
del 1934, l'Organo di autogoverno della  Magistratura  (pretesa  resa
esplicita  sia  nella  nota  della   Procura   regionale   Lazio   n.
362-21/05/2015-AASG-LAZ-Pm-P   dell'11   giugno   2015,   sia   nella
successiva sentenza della Sezione giurisdizionale  per  il  Lazio  17
febbraio 2016, n. 70, emessa all'esito del giudizio iscritto  con  il
n. 74322/2015); 
 
                                Fatto 
 
    1. Con nota n. 362-21/05/20I5-AASG-LAZ-Pm-P dell'11  giugno  2015
(doc. n. 1), seguendo l'orientamento  emerso  a  conclusione  di  due
conferenze dei presidenti tenute in materia di conti  giudiziali  nel
corso del 2014 e  al  fine  di  aggiornare  l'anagrafe  dei  soggetti
titolari di gestioni di denaro, beni  o  valori  assoggettabili  alla
resa del relativo conto,  il  presidente  della  Corte  dei  conti  -
Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio invitava formalmente  il
Consiglio superiore della Magistratura a comunicare i nominativi e le
funzioni specifiche di coloro i quali  dovessero  essere  qualificati
agenti contabili operanti nel proprio ambito e a presentare i conti a
partire  dall'anno  2010,  essendo  risultato  che   l'ultimo   conto
giudiziale era stato presentato nel 1999. 
    2. Con nota di risposta del  31  luglio  2015  (doc.  n.  2),  il
Segretario  generale  del  Consiglio  superiore  della   Magistratura
comunicava,  che  il  Comitato  di  presidenza  aveva  deliberato  di
rispondere  che  il  Consiglio  superiore  della   Magistratura   non
rientrava  nel  novero   degli   enti   sottoposti   ai   doveri   di
rendicontazione periodica alla Corte dei conti secondo la  disciplina
degli articoli 44 e seguenti del regio decreto  12  luglio  1934,  n.
1214.  Questo  «per  via  del   particolare   regime   di   autonomia
regolamentare  e  contabile  che  caratterizza  l'Organo  di  governo
autonomo  della  Magistratura,  in   ragione   della   sua   speciale
collocazione costituzionale». 
    Nello  specifico,  il  Consiglio  superiore  della   Magistratura
ribadiva che, quale  organo  costituzionale,  in  analogia  a  quanto
statuito espressamente da codesta ecc.ma Corte costituzionale per  le
Camere e la Presidenza della Repubblica, non sussistesse,  per  esso,
l'obbligo di resa del conto giudiziale  degli  agenti  contabili  nel
proprio ambito operanti e qualificabili come tali. 
    Ricordava,   inoltre,   come,   nell'esercizio   della   potesta'
regolamentare che  gli  e'  propria,  il  Consiglio  superiore  della
Magistratura, con deliberazione del 27 giugno 1996, pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale n. 158 dell'8 luglio  1996  (doc.  n.  3),  avesse
realizzato un sostanziale cambio di funzionamento  del  regime  delle
verifiche  di  legittimita'  dell'operato   in   materia   contabile,
garantendo, con la scelta di elevate e  specifiche  professionalita',
un controllo puntuale, serio e costante, al  di  fuori  del  circuito
della rendicontazione applicabile alla generalita' degli  enti  dello
Stato. Con l'introduzione del  nuovo  strumento  di  controllo  della
gestione sono  venute  meno,  infatti,  le  norme  regolamentari  che
sancivano la sottoposizione alla  giurisdizione  pubblica  di  conto,
proprio al fine  di  realizzare  la  piena  autonomia  del  Consiglio
superiore della Magistratura, che  passa  anche  tramite  l'autonomia
contabile.  A  seguito  di  cio',  ormai  dal  1997  il  Consiglio  -
pacificamente - non presenta piu' tale rendicontazione alla Corte dei
conti. 
    3.  Con  atto   di   richiesta   di   pronuncia   della   Sezione
giurisdizionale ai sensi dell'art. 30, comma 2, del regio decreto  n.
1038 del 1933, notificato in data 10 settembre 2015 (doc. n.  4),  il
magistrato  relatore  per  i  Conti  erariali   presso   la   Sezione
giurisdizionale per la Regione Lazio riteneva di non  condividere  le
conclusioni del Comitato di presidenza del Consiglio superiore  della
Magistratura e, pertanto, richiedeva una pronuncia della  Sezione  in
sede collegiale ai sensi dell'art. 30, comma 2, del regio decreto  n.
1038 del 1933, ordinando, in caso di esito positivo, entro un termine
prestabilito, la resa dei conti  giudiziali  degli  agenti  contabili
operanti in seno allo stesso Consiglio superiore della  Magistratura,
individuabili,  alla  luce  del  regolamento  di  amministrazione   e
contabilita', nelle figure dell'istituto cassiere, dell'economo e del
consegnatario dei beni. 
    In tale atto, l'estensore affermava di non  condividere  la  tesi
del  Comitato   di   presidenza   del   Consiglio   superiore   della
Magistratura, reclamando la  generale  sottoposizione  di  tutti  gli
organi pubblici all'obbligo di rendicontazione periodica  alla  Corte
dei  conti  con  la  sola  esclusione  degli  organi   costituzionali
«supremi». 
    4. In data 24  dicembre  2015,  si  costituiva  nel  giudizio  il
Consiglio superiore della Magistratura, il quale, in via  principale,
chiedeva alla Corte dei conti  di  voler  dichiarare  l'insussistenza
dell'obbligo della resa del conto da  parte  degli  agenti  contabili
operanti  nel  proprio  ambito,  in  ossequio  alla   sua   peculiare
collocazione istituzionale, quale, cioe', amministrazione, di vertice
di   un   settore,   costituzionalmente    separato    dall'attivita'
amministrativa e di governo, ed in  considerazione,  altresi',  della
autonomia  finanziaria  e  di  bilancio  e   dell'autonoma   potesta'
regolamentare di cui risulta  titolare.  Chiedeva  altresi',  in  via
subordinata, di sollevare  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 44 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, per contrasto
con gli articoli 3, 101, 103 e 104 della Costituzione. 
    All'udienza del 14 gennaio 2016,  mentre  il  pubblico  ministero
aderiva alla tesi della sussistenza dell'obbligo della resa del conto
da parte  degli  agenti  contabili  operanti  in  seno  al  Consiglio
superiore della Magistratura; la difesa di quest'Organo insisteva per
la tesi contraria, attesa la propria  natura  di  Organo  del  potere
«sovrano», come tale costituzionalmente garantito. 
    5. In data 17  febbraio  2016,  la  Corte  dei  conti  -  Sezione
giurisdizionale per il Lazio depositava la sentenza n. 70/2016  (doc.
n.  5),  con  la  quale  dichiarava  gli  agenti  contabili  operanti
nell'ambito  del  Consiglio  superiore   della   Magistratura,   come
individuati nel regolamento di amministrazione e  contabilita'  dello
stesso Consiglio superiore della Magistratura  -  ovvero,  l'istituto
cassiere, l'economo ed  il  consegnatario  dei  beni  -  soggetti  al
giudizio di  conto  di  competenza  della  Corte  dei  conti  e,  per
l'effetto, ordinava «al Consiglio  superiore  della  Magistratura  di
depositare i conti  degli  agenti  contabili,  come  sopra  indicati,
relativi all'anno 2014, entro 120 (centoventi) giorni dalla  notifica
della presente  sentenza,  tramite  il  servizio  di  ragioneria  del
Consiglio superiore della Magistratura dopo che lo  stesso  ne  avra'
effettuato il controllo apponendovi il visto di regolarita'». 
    In virtu' del mandato a margine al presente  atto,  il  Consiglio
superiore della Magistratura ritenendo radicalmente  incostituzionale
la pretesa della Corte dei conti, eleva, pertanto,  con  il  presente
ricorso, conflitto ai sensi degli articoli 37 e seguenti della  legge
11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 3, 101, 103,  104
della Costituzione, per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I. Sull'ammissibilita' del ricorso. 
I.1. Sotto il profilo soggettivo. 
    Pacifica  e'  la  competenza  del   Consiglio   superiore   della
Magistratura, in quanto Organo di autogoverno della  Magistratura,  a
promuovere conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato. 
    Risulta,  infatti,   dall'art.   104   della   Costituzione   che
l'istituzione  del  Consiglio   superiore   della   Magistratura   ha
rappresentato la apposita  garanzia  costituzionale  della  autonomia
della Magistratura, cosi' da collocarla nella  posizione  di  «ordine
autonomo e indipendente da ogni altro  potere»  e,  conseguentemente,
sottrarla   ad   interventi   suscettibili   di   turbarne   comunque
l'imparzialita'  e  di  compromettere  l'applicazione  del  principio
consacrato all'art. 101 della Costituzione,  secondo  cui  i  giudici
sono soggetti solo alla legge. 
    Come  ben  noto,  l'autonomia  delineata  dall'art.   104   della
Costituzione attiene alla struttura organizzativa e opera rispetto  a
tutti gli altri poteri dello Stato: essa si  realizza  nei  confronti
del potere esecutivo, in  quanto  l'indipendenza  della  Magistratura
sarebbe compromessa se i provvedimenti afferenti la  progressione  in
carriera dei magistrati (art. 105  della  Costituzione)  e,  piu'  in
generale, lo  status  fossero  attribuiti  al  potere  esecutivo.  Il
Consiglio  superiore  della  Magistratura  e'   quindi   il   garante
dell'indipendenza della Magistratura. 
    L'autonomia si realizza, poi,  anche  nei  confronti  del  potere
legislativo, nel senso che i  giudici  sono  soggetti  soltanto  alla
legge (art. 101 della Costituzione). 
    Il carattere di organo  costituzionale  competente  a  dichiarare
definitivamente la volonta' del potere (giudiziario)  cui  appartiene
(ex art. 37 della legge n. 87 del 1953) deriva, dunque, al  Consiglio
superiore della  Magistratura  dalla  funzione  ad  esso  attribuita:
spetta, infatti, all'Organo di autogoverno  garantire  l'autonomia  e
l'indipendenza della Magistratura di fronte  agli  altri  poteri,  in
applicazione del fondamentale principio di divisione dei poteri. 
    Questa serie di garanzie si compone e si struttura proprio  nella
posizione autonoma  e  indipendente  del  Consiglio  superiore  della
Magistratura, la cui legittimazione attiva  a  proporre  ricorso  per
conflitto di attribuzioni tra poteri  dello  Stato  e',  quindi,  del
tutto pacifica. 
    Del resto, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha gia' avuto modo
di pronunciarsi sul punto, affermando, nella  sentenza  15  settembre
1995, n. 435 che «Anche per quanto riguarda il profilo soggettivo del
ricorso, va innanzitutto confermata la legittimazione  del  Consiglio
superiore della Magistratura a sollevare conflitto  di  attribuzione,
in quanto, come prima  detto,  organo  direttamente  investito  delle
funzioni previste dall'art. 105 della Costituzione ...». 
    Sul versante della legittimazione passiva,  per  quanto  occorra,
invece,  la  legittimazione  della  Sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Lazio della Corte dei  conti  (e  comunque  della  Corte  dei
conti), quale organo del  potere  giurisdizionale  diffuso,  e'  pure
fuori discussione. 
    Come  noto,  infatti,  anche  nell'ambito   della   giurisdizione
contabile, quello giurisdizionale e' un potere «diffuso» (si veda  la
sentenza  n.  231   del   1975),   sicche'   ogni   sua   componente,
nell'esercizio di funzioni giurisdizionali  delle  quali  si  ritenga
titolare, puo' essere parte di conflitti. 
    Ad abundantiam, pare utile richiamare l'insegnamento  di  codesta
ecc.ma Corte in ordine alla legittimazione passiva  della  Corte  dei
conti nei conflitti tra poteri dello  Stato:  valga,  per  tutte,  la
sentenza  10  luglio  1981,  n.   129   (in   cui   venne   affermata
l'ammissibilita'  -  e  poi  la  fondatezza  -   del   conflitto   di
attribuzioni fra  poteri  dello  Stato,  con  riguardo  alla  analoga
pretesa della Corte dei conti di sottoporre a  giudizio  di  conto  i
tesorieri della Presidenza  della  Repubblica,  della  Camera  e  del
Senato). 
I.2. Sotto il profilo oggettivo. 
    Sotto il profilo  oggettivo,  ricorrono  certamente  i  requisiti
previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo
cui i conflitti tra poteri dello Stato devono avere  ad  oggetto  «la
delimitazione della sfera di  attribuzioni  determinata  fra  i  vari
poteri da norme costituzionali», trattandosi di conflitto di evidente
tono costituzionale. 
    Nel caso di specie, il  Consiglio  superiore  della  Magistratura
rivendica  l'integrita'  delle  proprie  prerogative  costituzionali,
rispetto alla pretesa della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale
per la Regione Lazio di assoggettare alla  propria  giurisdizione  di
conto gli agenti contabili in esso operanti. Ne  discende  una  grave
lesione all'autonomia costituzionale del  Consiglio  superiore  della
Magistratura medesimo, per come garantita dall'art.  101  e  seguenti
della Costituzione. 
    Ritiene, inoltre, il Consiglio che la pretesa di cui alla  citata
sentenza  costituisca  il  frutto  di   un'applicazione   del   tutto
irragionevole dell'ambito della giurisdizione di  conto,  in  spregio
agli articoli 3 e 103 della Costituzione, a sua volta determinata  da
un'interpretazione   impropria,   illegittima   ed   incostituzionale
dell'art. 44 del regio decreto n. 1214 del 1934. 
    In  sostanza,  la   scrivente   difesa   ritiene   che,   qualora
effettivamente la giurisdizione contabile della Corte  dei  conti  si
estendesse agli agenti contabili nel proprio ambito operanti, da cio'
deriverebbe   la    menomazione    della    sfera    di    competenza
costituzionalmente tutelata. 
    Evidente,  dunque,  come  una  simile   prospettazione   dimostri
incontrovertibilmente l'esistenza della materia di un  conflitto  (in
base all'art. 37, comma  4,  della  legge  n.  87  del  1953),  circa
l'estensione della giurisdizione propria della Corte dei  conti,  nel
rapporto con l'autonomia organizzativa e funzionale  rivendicata  dal
Consiglio superiore della Magistratura. 
    E', infatti, principio ormai consolidato nella giurisprudenza  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale che la figura  dei  conflitti  di
attribuzione «non si restringe alla  sola  ipotesi  di  contestazione
circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno  dei  soggetti
contendenti rivendichi per se', ma  si  estende  a  comprendere  ogni
ipotesi  in  cui  dall'illegittimo  esercizio  di  un  potere  altrui
consegua   la   menomazione   di   una    sfera    di    attribuzioni
costituzionalmente assegnate all'altro  soggetto»  (sent.  26  giugno
1970, n. 110). 
    Anche   sotto   tale   profilo,    pacifica    appare,    dunque,
l'ammissibilita' del presente ricorso. 
II. Nel merito: erronea e illegittima  interpretazione  dell'art.  44
regio decreto n. 1214 del 1934  -  Violazione  e  falsa  applicazione
dell'art.  103,  nonche'  degli  articoli  3,   101   e   104   della
Costituzione. 
    L'illegittima pretesa della Corte dei conti  di  assoggettare  il
Consiglio superiore della Magistratura alla propria giurisdizione  di
conto, di cui alla nota  n.  362-  21/05/2015-AASG-LAZ-Pm-P,  nonche'
alla sentenza n. 70/2016 emessa dalla Sezione giurisdizionale per  la
Regione Lazio, presta il fianco a molteplici  censure,  le  quali  si
risolvono in altrettante lesioni dell'autonomia e  menomazioni  delle
prerogative costituzionali di cui gode il Consiglio  superiore  della
Magistratura. 
II.1.  La  deroga  alla  resa  del  conto  in  favore  degli   organi
costituzionali. 
    Innanzitutto, l'assoggettamento  del  Consiglio  superiore  della
Magistratura a resa di conto contrasta con  l'assetto  costituzionale
della  divisione  dei  poteri,  come  declinato  nelle  garanzie   di
autonomia e indipendenza. Non a caso codesta  ecc.ma  Corte  ha  gia'
chiarito che all'obbligo di rendiconto contabile sono  sottratti  gli
organi costituzionali. 
    Nella  sentenza  10  luglio  1981,  n.  129,  si  e'  nitidamente
precisato che le gestioni contabili degli organi  costituzionali  non
possano essere sottoposte al giudizio della Corte  dei  conti,  posto
che un siffatto esame non sarebbe compatibile con  l'autonomia  delle
valutazioni  spettanti  alle  due  Camere  e  alla  Presidenza  della
Repubblica. «... L'esenzione dei loro agenti contabili dai giudizi di
conto rappresenta, viceversa,  il  diretto  riflesso  della  spiccata
autonomia di cui  tuttora  dispongono  i  tre  organi  costituzionali
ricorrenti. Tale autonomia si esprime anzitutto sul piano  normativo,
nel senso che agli organi  in  questione  compete  la  produzione  di
apposite norme giuridiche, disciplinanti l'assetto e il funzionamento
dei loro apparati serventi; ma non  si  esaurisce  nella  normazione,
bensi' comprende - coerentemente -  il  mancato  momento  applicativo
delle  norme  stesse,  incluse  le  scelte  riguardanti  la  concreta
adozione delle misure atte ad assicurarne l'osservanza. Rispetto alla
materia del presente conflitto, cio' significa da un lato che  spetta
alle Camere  del  Parlamento  ed  alla  Presidenza  della  Repubblica
dettare autonomamente le disposizioni  regolamentari  che  ognuno  di
tali  organi  ritenga  piu'  opportune  per  garantire  una  corretta
gestione delle somme affidate ai  rispettivi  tesorieri;  e  comporta
d'altro lato  che  rientri  nell'esclusiva  disponibilita'  di  detti
organi,  senza  di  che  la  loro   autonomia   verrebbe   dimezzata,
l'attivazione dei  corrispondenti  rimedi,  amministrativi  od  anche
giurisdizionali». 
    E' evidente che il controllo contabile esercitato dalla Corte dei
conti  interferisce  gravemente  con   l'autonomo   esercizio   delle
prerogative degli organi costituzionali, in ossequio  alla  divisione
dei poteri. 
    Da   qui,   dunque,    l'inconferenza,    l'erroneita'    e    la
contraddittorieta'  della  pretesa   dalla   Corte   dei   conti   di
assoggettare ora  a  resa  di  conto  il  Consiglio  superiore  della
Magistratura, discendendone una grave  lesione  dell'autonomia  della
Magistratura, come costituzionalmente riconosciuta e garantita. 
    In buona sostanza, escludere  dalla  resa  di  conto  gli  organi
costituzionali di vertice rappresenta  la  garanzia  della  autonomia
costituzionale,  nel  pieno  rispetto  del  principio  dei  freni   e
contrappesi  con  cui  e'  garantita  nell'assetto  repubblicano   la
divisione dei poteri. 
    Per quel che riguarda la Magistratura, tale esclusione  non  puo'
che riguardare il Consiglio superiore della Magistratura. 
    E'  sufficiente  ricordare  che  ai  sensi  dell'art.  104  della
Costituzione  «La  Magistratura  costituisce  un  ordine  autonomo  e
indipendente da ogni altro potere». I successivi  articoli  declinano
pienamente tale autonomia e indipendenza, riconoscendo, ad  es.,  che
«Spettano,  al  Consiglio  superiore  della   Magistratura   ...   le
assunzioni, le assegnazioni, ed i trasferimenti, le  promozioni  e  i
provvedimenti disciplinari nei riguardi  dei  magistrati»  (art.  105
della Costituzione) e che «I magistrati sono inamovibili. Non possono
essere dispensati o sospesi dal servizio ne' destinati ad altre  sedi
o funzioni se non in seguito  a  decisione  del  Consiglio  superiore
della Magistratura, adottata o per i motivi  e  con  le  garanzie  di
difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso»
(art. 107 della Costituzione). 
    Il  ruolo  e  la  posizione   del   Consiglio   superiore   della
Magistratura, secondo principi ben noti e consolidati,  rende  immune
la Magistratura da ogni possibile interferenza di qualsivoglia  altro
potere dello Stato. 
    Stando cosi' le cose,  non  occorre  dilungarsi  per  mettere  in
rilievo quanto stonerebbe con l'impianto costituzionale la soggezione
del Consiglio superiore della Magistratura al giudizio di  conto,  al
pari di qualsiasi organo esecutivo della macchina statale. 
    Insomma,  e'  evidente   che   la   capacita'   espansiva   della
giurisdizione di conto di cui all'art.  103  della  Costituzione  non
possa interferire con l'autonomia costituzionale,  come,  invece,  la
Corte dei conti (tramite l'invito formale prima,  e  la  sentenza  n.
70/2016 poi) pretenderebbe di fare, dando cosi' luogo ad  un'evidente
violazione delle prerogative costituzionali del  Consiglio  superiore
della Magistratura. Ne viene ad  essere  toccata  la  soggezione  dei
giudici alla  sola  legge,  per  come  sancita  nell'art.  101  della
Costituzione, in ossequio a principi secolari. E cosi' via. 
    Per tale ragione il conflitto qui posto e' evidentemente fondato,
seguendo a pieno quanto statuito  da  codesta  ecc.ma  Corte  con  la
sentenza n. 129 del 1981, a fronte di analoga pretesa avverso le  due
Camere e la Presidenza della Repubblica. 
    Ad avviso della scrivente difesa non  occorrerebbe  ulteriormente
argomentare in proposito, data l'evidenza  della  lesione.  Tuttavia,
l'importanza e la delicatezza  del  tema,  a  garanzia  dei  principi
costituzionali supremi, spinge a offrire ulteriori dettagli. 
    A tal fine, si confutera' l'impostazione  interpretativa  seguita
dalla Corte dei conti nel caso di specie, si ribadira'  la  posizione
costituzionale del Consiglio superiore della Magistratura e infine si
porra' in evidenza l'erroneita' delle tesi propugnate dalla Corte dei
conti nella sentenza n. 70 del 2016. 
II.2. Interpretazione incostituzionale dell'art. 44 del regio decreto
n. 1214 del 1934. 
    La tesi sostenuta dal magistrato relatore per  i  conti  erariali
della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio ed  accolta  dalla
medesima  Sezione  con  la  sentenza  n.  70/2016,  si  basa  su  una
interpretazione impropria, illegittima e  incostituzionale  dell'art.
44 del regio decreto n. 1214 del 1934. 
    Tale articolo, nel definire l'ambito di applicazione del giudizio
di conto della Corte dei conti, non individua in maniera  dettagliata
il novero degli enti, che hanno la gestione delle risorse dello Stato
e cui si deve applicare il controllo periodico attraverso il giudizio
di  conto.  Recita,  infatti,  la  norma:  «La  Corte  giudica,   con
giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri,  dei  ricevitori,
dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di  pagare,  di
conservare e di maneggiare danaro pubblico o di  tenere  in  custodia
valori e materie di proprieta'  dello  Stato,  e  di  coloro  che  si
ingeriscono  anche  senza  legale  autorizzazione   negli   incarichi
attribuiti ai detti agenti. 
    La Corte giudica pure sui conti dei tesorieri ed agenti di  altre
pubbliche amministrazioni per quanto le spetti  a  termini  di  leggi
speciali». 
    E'  ben  noto  che  il  tema  della   definizione   dell'ampiezza
dell'ambito  di  applicabilita'   agli   enti   dello   Stato   della
giurisprudenza contabile della  Corte  dei  conti  e'  stato,  ed  e'
tuttora, oggetto di dibattito dottrinale  e  giurisprudenziale,  alla
luce dei c.d. effetti espansivi di tale giurisdizione, derivanti  dal
precetto di cui all'art. 103  della  Costituzione,  secondo  cui  «La
Corte dei  conti  ha  giurisdizione  nelle  materie  di  contabilita'
pubblica e nelle altre specificate dalla legge». 
    Ad ogni modo, a fronte della «vaghezza»  normativa  dell'art.  44
del citato regio decreto, sin dagli anni '60 del secolo scorso, tanto
la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale (sentenza  3
giugno 1966, n. 55), come quella della Suprema  Corte  di  cassazione
(sezioni   unite,   n.   2616   del   1968),   hanno   affermato   la
generalizzazione  della  giurisdizione   contabile,   automaticamente
espansibile alle materie  di  contabilita'  pubblica  e  subordinata,
invece, alla volonta' del legislatore nelle altre materie. 
    In particolare, pero', e' stata codesta ecc.ma Corte  a  chiarire
l'ambito di operativita' della giurisdizione di conto. 
    E' stata, cosi', riconosciuta la sussistenza di un  netto  limite
al potere espansivo della giurisdizione di  conto,  affermandosi  che
l'attivita' amministrativo-contabile  degli  organi  pubblici  aventi
natura costituzionale ne e' esclusa. 
    L'obbligo  di  rendiconto,  quindi,  non   puo'   essere   esteso
automaticamente a tutti gli agenti contabili che  maneggino  pubblico
danaro, ma solo a quelli per i quali sussista una identita' oggettiva
di situazioni derivanti dall'esistenza di  una  normazione  contabile
che richiama quella di contabilita' dello Stato. 
    Gia'  nella  sentenza  n.  110  del  1970,   codesta   Corte   ha
riconosciuto «il principio tendenzialmente generale del secondo comma
dell'art. 103 della Costituzione», pur senza escludere, pero', che la
concreta  attuazione  di  tale   principio   possa   richiedere,   in
particolari   settori,   «l'intervento   di   apposite   disposizioni
legislative», concludendo,  dunque,  che  «soltanto  laddove  ricorra
identita' oggettiva di materia, e beninteso entro i limiti segnati da
altre norme e principi costituzionali,  il  principio  dell'art.  103
conferisca capacita' espansiva  alla  disciplina  dettata  dal  testo
unico del 1934 per gli agenti contabili  dello  Stato,  consentendone
l'estensione  a  situazioni  non  espressamente  regolate   in   modo
specifico» (poi, sentenza n. 102 del 1977). 
    Il principio e' stato magistralmente ribadito nella  sentenza  n.
129 del 1981: «... questa Corte ha piu' volte ritenuto  -  a  partire
dalla sentenza n. 110 del 1970 -  che  "il  principio  dell'art.  103
conferisca capacita' espansiva  alla  disciplina  dettata  dal  testo
unico del 1934 per gli agenti contabili  dello  Stato,  consentendone
l'estensione  a  situazioni  non  espressamente  regolate   in   modo
specifico". Ma in quella stessa pronuncia si avverte che l'espandersi
della giurisdizione  costituzionalmente  attribuita  alla  Corte  dei
conti,   lungi   dall'essere   incondizionato,   deve    considerarsi
circoscritto "laddove  ricorra  identita'  oggettiva  di  materia,  e
beninteso  entro  i  limiti  segnati  da  altre  norme   e   principi
costituzionali". Ed in questi termini si e'  ancor  piu'  chiaramente
espressa la sentenza n. 102 del 1977: nella quale la Corte - sia pure
dichiarando  inammissibili  le  proposte  questioni  di  legittimita'
costituzionale  delle  norme  sulla  responsabilita'   civile   degli
amministratori e dipendenti  degli  enti  locali  -  ha  in  sostanza
escluso che il precetto stabilito dal comma  2  dell'art.  103  della
Costituzione sia caratterizzato da una "assoluta (e non  tendenziale)
generalita'" e sia dunque dotato d'"immediata operativita' in tutti i
casi".». 
    Codesta ecc.ma Corte, quindi -  pur  riconoscendo  ampia  portata
alla disciplina del testo unico del  1934,  anche  sulla  base  della
prescrizione dell'art. 103, comma  2,  della  Costituzione  -  ne  ha
affermato l'operativita' «entro i limiti segnati  da  altre  norme  e
principi   costituzionale».   Ne   discende   che    «deroghe    alla
giurisdizione»  contabile  operano  naturalmente  «nei  confronti  di
organi immediatamente partecipi del potere  sovrano  dello  Stato,  e
percio' situati al vertice dell'ordinamento, in posizione di assoluta
indipendenza e di reciproca parita'» (testualmente, sentenza  n.  129
del 1981). 
    Non v'e' chi non veda come in tale fattispecie, derogatoria  alla
generale sottoposizione alla giurisdizione di conto della  Corte  dei
conti, rientri anche il Consiglio  superiore  della  Magistratura  in
quanto Organo «situato al vertice dell'ordinamento» giudiziario ed in
«posizione di assoluta indipendenza» (art. 104  della  Costituzione),
rispetto ad ogni altro potere. 
    In  buona  sostanza,  la  giurisdizione  di  conto  deve   essere
bilanciata con l'autonomia degli organi costituzionali, in maniera da
contemperare i controlli con i principi della divisione  dei  poteri.
Tale «esenzione rappresenta un riflesso  dell'autonomia  di  cui  gli
organi costituzionali considerati dispongono  che  non  si  esaurisce
nella normazione, comprendendo anche  il  momento  applicativo  delle
norme stesse, dato che altrimenti quell'autonomia verrebbe  dimezzata
dall'attivazione dei corrispondenti rimedi amministrativi,  ed  anche
giurisdizionali» (ancora Corte costituzionale, n. 129 del 1981). 
    Tali principi rendono, dunque, evidente che ai fini  di  definire
concretamente l'applicabilita' degli obblighi di rendiconto stabiliti
dall'art. 44 regio decreto n. 1214 del 1934 e'  necessario  porre  in
essere una verifica in concreto della specificita'  dell'ente,  della
sua collocazione costituzionale e dell'ordinamento complessivo che il
Costituente  ed  il   Legislatore   hanno   conferito   al   soggetto
potenzialmente oggetto di controllo. 
    In questo contesto, appare del tutto erroneo interpretare  l'art.
44 nel senso di  estendere  ad  un  organo  costituzionale  quale  il
Consiglio  superiore  della  Magistratura  il  controllo   contabile,
rappresentando una irragionevole e palese violazione degli articoli 3
e 103 della Costituzione. 
    Cio' chiarito, va ricordato che la Sezione giurisdizionale per la
Regione Lazio della Corte dei conti  cerca,  invece,  di  appigliarsi
alla sentenza di codesta ecc.ma Corte, 25 luglio 2001, n. 292, con la
quale e' stato respinto l'analogo conflitto di attribuzioni in merito
sollevato  dalla  Regione  Trentino-Alto  Adige  e  dalla   Provincia
autonoma di Trento. 
    Tale  richiamo  si  palesa,  ai  fini  della  vicenda   de   qua,
assolutamente inconferente, oltreche' contraddittorio. 
    Inconferente, perche' tale sentenza  si  inserisce  in  un  solco
giurisprudenziale differente, che ammette la possibilita' degli  enti
di  governo  locale,  in  particolare  quelli  espressivi   di   enti
territoriali  dotati  di  autonomia  statutaria  riconosciuta   dalla
Costituzione, di sottrarsi alla giurisdizione della Corte  dei  conti
(cfr. gia' la sentenza n. 110 del 1970, che ha definito il  conflitto
sollevato dalla Regione autonoma della Sardegna, e la sentenza n. 211
del 1972,  relativa  invece  al  conflitto  sollevato  dalla  Regione
Friuli-Venezia Giulia). 
    Contraddittorio, perche' la Corte dei  conti  ne  desume  che  la
deroga  alla  giurisdizione  contabile  operi  solo  per  gli  organi
costituzionali «supremi», senza tener  conto  la  differenza  fra  le
autonomie  territoriali  e  gli  organi  di   vertice   dell'impianto
costituzionale. 
    Basta una sola considerazione, sul punto. Per quel  che  riguarda
il potere giudiziario, quale e' l'organo  costituzionale  supremo  se
non proprio il Consiglio superiore della Magistratura? 
    In altre  parole,  la  posizione  delle  autonomie  territoriali,
dotate di autonomia statutaria e non certo costituzionale,  non  sono
certo estensibili all'Organo di governo autonomo della  Magistratura,
il quale - lo ripetiamo - opera in posizione di sostanziale autonomia
e di separatezza rispetto alle amministrazioni dello Stato, secondo i
tradizionali canoni della divisione dei poteri. 
II.3.   Collocazione   istituzionale,   autonomia    finanziaria    e
regolamentare del Consiglio superiore della Magistratura. 
    In secondo luogo, la  Corte  dei  conti  cerca  di  sostenere  la
portata generale  della  estensione  della  giurisdizione  di  conto.
Portata che va invece limitata nel bilanciamento e nel rispetto delle
autonomie costituzionali, come gia'  sopra  richiamato e  sancito  in
maniera esemplare nella sentenza n. 129 del 1981. 
    Per ribadire la  assoluta  estraneita'  del  Consiglio  superiore
della Magistratura rispetto alla giurisdizione contabile, puo' quindi
essere opportuno richiamare ulteriormente la  peculiare  collocazione
costituzionale  del  Consiglio  superiore  della   Magistratura,   in
considerazione  della  quale  emerge  in  maniera   palese   la   non
applicabilita' della giurisdizione di conto. 
    Tale Organo costituzionale, infatti: 
    a) non fa parte delle amministrazioni pubbliche; 
    b) e' dotato di una propria autonomia finanziaria; 
    c) e' dotato di una potesta' regolamentare autonoma. 
    Procediamo per gradi. 
a)  Collocazione  istituzionale   del   Consiglio   superiore   della
Magistratura. 
    Va ricordato come per consolidata  giurisprudenza  costituzionale
il  Consiglio  superiore  della  Magistratura  «non  e'  parte  della
Pubblica amministrazione (in  quanto  rimane  estraneo  al  complesso
organizzativo che fa capo direttamente ...  al  Governo  dello  Stato
...)» (Corte costituzionale, sentenza n. 44/1968). 
    Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare  che  «Per  prima
cosa, comunque si voglia qualificarlo in sede dogmatica, si tratta di
un organo di sicuro rilievo costituzionale ... Cio' che  piu'  conta,
dal nesso fra i commi 1 e 2 dell'art. 104 della Costituzione e' stato
desumere - come la Corte ha osservato nella sentenza n. 44  del  1968
(per  poi  riaffermarlo  nella  sentenza  n.  12  del  1971)  -  "che
l'istituzione  del  Consiglio   superiore   della   Magistratura   ha
corrisposto all'intento di rendere effettiva, fornendola di  apposita
garanzia costituzionale, l'autonomia  della  Magistratura,  cosi'  da
collocarla nella posizione di ordine autonomo ed indipendente da ogni
altro potere". E la Corte ha ulteriormente precisato - nella sentenza
n. 142 del 1973 - che "strumento essenziale di siffatta autonomia,  e
quindi della stessa indipendenza dei magistrati nell'esercizio  delle
loro funzioni, che essa e' istituzionalmente  rivolta  a  rafforzare,
sono le competenze attribuite al Consiglio superiore  dagli  articoli
105, 106 e 107 della Costituzione" ... e' nella  logica  del  disegno
costituzionale  che  il  Consiglio  sia   garantito   nella   propria
indipendenza, tanto nei rapporti con altri poteri quanto nei rapporti
con l'ordine giudiziario, "nella misura necessaria a  preservarlo  da
influenze" che potrebbero  indirettamente  pregiudicare  "l'esercizio
imparziale dell'amministrazione della giustizia"»  (sentenza  n.  148
del 1983). 
    Il Consiglio superiore della Magistratura, dunque, al pari  delle
altre istituzioni costituzionali, non fa parte delle  amministrazioni
pubbliche menzionate dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n.
165 del 2001. 
    Va, infatti, rammentato che il testo unico sul  pubblico  impiego
del 2001 reca l'elencazione  esaustiva  dell'ambito  delle  pubbliche
amministrazioni, utilizzato  in  tutte  le  ipotesi  in  cui  occorre
definire il perimetro del «pubblico». 
    Tale disposizione fa riferimento esplicito alle  «amministrazioni
dello Stato, ivi compresi gli istituti e  scuole  di  ogni  ordine  e
grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello
Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni,  le
comunita' montane e loro  consorzi  e  associazioni,  le  istituzioni
universitarie, gli Istituti autonomi  case  popolari,  le  Camere  di
commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro  associazioni,
tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e  locali,
le amministrazioni, le aziende e  gli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale l'Agenzia per la rappresentanza negoziale  delle  pubbliche
amministrazioni (ARAN) e le agenzie di cui al decreto legislativo  30
luglio 1999, n. 300». 
    Si tratta di una  nozione  che  declina  in  maniera  compiuta  i
soggetti che fanno riferimento alla nozione di  Stato-amministrazione
(tradizionalmente  intesa  in   contrapposizione   al   concetto   di
Stato-ordinamento)  e  cosi'  identifica  l'intero   universo   delle
pubbliche amministrazioni  statali  in  senso  soggettivo,  ossia  la
totalita' degli  organi  statali  e  locali  che  formano  il  potere
esecutivo ed hanno il proprio vertice del governo. 
    Il Consiglio superiore della Magistratura fa, invece,  capo  alla
nozione di Stato-ordinamento, quale amministrazione di vertice di  un
settore (la giurisdizione), che e' espressione di un potere  autonomo
ai   sensi   dell'art.   101   e   seguenti    della    Costituzione,
costituzionalmente  separato  dall'attivita'  amministrativa   e   di
governo. Si tratta  di  un  organo  in  posizione  costituzionale  di
sostanziale  autonomia  e  quindi  di   separatezza   rispetto   alle
amministrazioni dello Stato, sia con riguardo  alla  loro  attivita',
sia con riferimento alla loro organizzazione interna. 
    La ratio dell'esclusione della disciplina dettata dal testo unico
sul pubblico  impiego  agli  organi  facenti  capo  alla  nozione  di
Stato-ordinamento si coglie agevolmente nella pressante  esigenza  di
preservare l'autonomia di tali organi, non  solo  con  riguardo  alla
loro attivita', ma anche, in funzione di essa, con  riferimento  alla
loro organizzazione interna. 
    Dalla  mancata   inclusione   del   Consiglio   superiore   della
Magistratura nel novero delle amministrazioni pubbliche  discende  la
sottrazione   alla   disciplina   e   ai   controlli   tipici   delle
amministrazioni statali, quale la giurisdizione di conto. 
b) Autonomia finanziaria e di bilancio del Consiglio superiore  della
Magistratura. 
    Per espressa previsione di legge  il  Consiglio  superiore  della
Magistratura e' dotato di una spiccata  autonomia  finanziaria  e  di
bilancio, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 195 del 1958. 
    Al  fine  di  rafforzare  l'autonomia  e   l'indipendenza   della
Magistratura, nei termini voluti dalla Costituzione, si e'  previsto,
infatti, che l'Organo fosse destinatario per il suo funzionamento  di
un fondo annuale stanziato in modo diretto, con  un  unico  capitolo,
nello  stato  di  previsione  di  spesa  del  Ministero  del  tesoro,
attualmente Ministero dell'economia. 
    Tale norma, per come modificata ad opera della legge n. 1198  del
1967, prevede che «Il Consiglio superiore della Magistratura provvede
all'autonoma gestione delle spese per il proprio  funzionamento,  nei
limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato.  Il
predetto stanziamento viene  collocato,  con  unico  capitolo,  nello
stato  di  previsione  della  spesa  del  Ministero  del  tesoro.  Il
Consiglio  superiore  della  Magistratura,  con  proprio  regolamento
interno, stabilisce le norme dirette a disciplinare la gestione delle
spese. Il rendiconto della gestione viene presentato alla  Corte  dei
conti alla chiusura  dell'anno  finanziario.  Restano  a  carico  del
Ministero di grazia e giustizia gli stipendi  sia  per  i  magistrati
componenti del Consiglio sia per i  magistrati  e  per  il  personale
addetto alla segreteria del Consiglio medesimo». 
    Il citato art. 9 ha sancito, dunque, l'abbandono  del  precedente
sistema delle spese di funzionamento del Consiglio nel  bilancio  del
Ministero di grazia  e  giustizia  ed  ha  attribuito  all'Organo  di
autogoverno  dell'ordine   giudiziario   la   potesta'   di   gestire
autonomamente le spese per il proprio funzionamento. Si e' attribuito
al Consiglio il potere di autonomamente erogare, per la realizzazione
dei propri compiti, i mezzi finanziari messi a  disposizione  con  lo
stanziamento  del  bilancio  statale.  Tale  inquadramento  normativo
consente al Consiglio superiore della Magistratura di essere inserito
nella ripartizione delle  unita'  revisionali  di  base  relative  al
bilancio  di  previsione   dello   Stato   disposta   dal   Ministero
dell'economia per ogni anno finanziario nell'apposita tabella  2  fra
gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale  che  possono
godere, in virtu' della loro collocazione istituzionale,  della  piu'
ampia autonomia finanziaria e di bilancio (proprio  tale  circostanza
sembra, dunque, suggerirti la  possibilita'  di  estendere  anche  al
Consiglio superiore della Magistratura  quanto  statuito  da  codesta
ecc.ma Corte con la  sentenza  n.  129  del  1981,  in  relazione  al
Parlamento e alla Presidenza della Repubblica). 
    E' cosi' consentita al Consiglio la necessaria  stabilita'  nella
programmazione delle proprie attivita',  secondo  le  previsioni  del
proprio regolamento di amministrazione e contabilita',  senza  essere
quindi esposto di interventi di modifica della spesa pubblica durante
il corso di esercizio annuale del bilancio dello Stato. Nello  schema
ordinamentale  vigente,  le  potesta'   di   autonoma   gestione   si
articolano, dunque, nell'attribuzione dell'autonomia contabile che si
sostanza  nella   autonomia   del   procedimento   della   spesa   e'
nell'autonomia amministrativa che consiste nella stessa  potesta'  di
impegnare la spesa. Con la potesta' di  autonoma  gestione  la  nuova
disciplina ha, quindi, attribuito al Consiglio  anche  il  potere  di
stabilire con il proprio  regolamento  interno  le  norme  dirette  a
disciplinare la gestione delle spese, al fine di garantire all'Organo
di  governo  autonomo  dell'ordine  giudiziario,  in  adempimento  al
precetto di cui all'art. 104 della  Carta  costituzionale,  la  piena
autonomia e  la  piena  indipendenza  funzionale,  quali  presupposti
indispensabili per assicurare al Paese il  buon  funzionamento  della
giustizia. 
    Cio'  ricordato,  e  passando  ora  ad  esaminare   ancora   piu'
specificamente le soluzioni  regolamentari  del  Consiglio  superiore
della  Magistratura  circa  la  propria  autonomia   contabile   deve
rilevarsi che il primo regolamento di amministrazione e  contabilita'
del Consiglio superiore, approvato con delibera del 24 gennaio  1969,
prevedeva  tra  i   compiti   dell'Ufficio   di   amministrazione   e
contabilita', all'art. 32, lettera g), l'invio alla Corte  dei  conti
del consuntivo approvato e, alla lettera  h),  «verificare  il  conto
giudiziale che l'economo-cassiere deve rendere alla Corte  dei  conti
per la sua gestione, opponendovi il visto di concordanza». 
    Il Consiglio aveva cioe'  all'epoca  ritenuto  di  conformare  il
proprio statuto contabile, sotto il profilo in questione, alle regole
relative alla generalita' delle amministrazioni dello Stato. 
    Nel 1996, con deliberazione del 27 giugno (pubblicata in Gazzetta
Ufficiale n. 158 dell'8 luglio 1996),  il  Consiglio,  nel  rinnovato
utilizzo della  sua  potesta'  regolamentare,  realizzando  una  piu'
marcata separazione dagli enti sottoposti al  regime  generale  della
contabilita' dello Stato,  pur  costituendo  un  rigido  presidio  di
garanzia della correttezza della gestione, ha modificato la struttura
di controlli esistenti, introducendo all'art.  36,  il  Collegio  dei
revisori dei conti. La norma recita: «E' istituito  il  Collegio  dei
revisori dei conti, composto da un presidente di sezione della  Corte
dei conti, in servizio o in quiescenza, che lo  presiede,  e  da  due
componenti scelti tra magistrati della Corte dei conti  e  professori
universitari ordinari di contabilita' pubblica o discipline similari.
Il  presidente  ed  i  componenti  del  Collegio  sono  nominati  dal
Consiglio, su proposta del Comitato di  presidenza  e  previo  parere
della Commissione bilancio. Essi durano in carica quattro anni e  non
possono essere confermati. 
    2. Il Consiglio  determina  il  compenso  del  presidente  e  dei
componenti del Collegio dei revisori dei conti». 
    La nuova disciplina ha quindi realizzato un sostanziale cambio di
funzionamento del regime delle verifiche di legittimita' dell'operato
in  materia  contabile  dell'Organo   di   governo   autonomo   della
Magistratura, garantendo, con  la  scelta  di  elevate  e  specifiche
professionalita', un puntuale costante e serio controllo, al di fuori
del circuito della rendicontazione applicabile alla generalita' degli
enti dello Stato. Con l'introduzione del nuovo strumento di controllo
della gestione sono scomparse  infatti  le  norme  regolamentari  che
sancivano, la sottoposizione alla giurisdizione pubblica di conto. 
    Tale  disciplina  viene  declinata  nell'art.  48   del   vigente
regolamento di amministrazione e contabilita', ove si  disciplina  il
Collegio dei revisori dei conti stabilendo che «1. Il controllo sulla
regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale, nonche'  sulla
corretta ed economica gestione delle  risorse  e  sulla  trasparenza,
imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa e' affidato
al Collegio dei revisori dei conti ...». 
    Il successivo art. 49 definisce il contenuto della relazione  del
Collegio dei revisori dei conti: «1. Nella relazione del Collegio dei
revisori dei conti sul rendiconto annuale sono evidenziati: 
    a) l'andamento della gestione finanziaria e gli effetti di questa
sulla consistenza dei beni patrimoniali; 
    b) le variazioni eventualmente apportate al  bilancio  nel  corso
dell'esercizio; 
    c) le variazioni intervenute nella consistenza dei beni. 
    2.  Il  Collegio  riferisce  sulla  regolarita'  della   gestione
finanziaria e patrimoniale, secondo gli elementi tratti dagli atti ad
esso sottoposti o da quelli  da  esso  richiesti  e  dalle  verifiche
periodiche   effettuate,   con   cadenza   trimestrale,   nel   corso
dell'esercizio nonche' sulla corretta  ed  economica  gestione  delle
risorse  e  sulla  trasparenza,  imparzialita'   e   buon   andamento
dell'azione amministrativa.». 
    A seguito delle innovazioni regolamentari descritte, fin dal 1997
il  Consiglio  superiore  non  ha,  quindi,  piu'  dato  luogo   alla
rendicontazione periodica finalizzata al  giudizio  di  conto  avanti
alla Conte dei conti secondo l'art. 44 del testo unico n.  1214/1934,
ritenendosi estraneo a tale giurisdizione. 
    Da allora e fino a tutto il 2014, per quasi vent'anni,  la  Corte
dei conti ha pacificamente accettato che il Consiglio superiore della
Magistratura non rendesse piu' il conto, in  quanto  Organo  estraneo
alla giurisdizione contabile. 
    Ancor piu' irrazionale appare oggi,  che  senza  alcuna  modifica
normativa o di impianto, la Corte dei conti pretenda invece  la  resa
del conto, dando cosi' luogo ad una grave lesione dell'autonomia  che
la Costituzione riconosce, invece, espressamente a tale Organo. 
c) Potesta' regolamentare autonoma. 
    Il  riferimento  alla  potesta'  regolamentare  autonoma,   anche
contabile, costituisce un precipitato logico  giuridico  della  sfera
intangibile  di  autonomia  assicurata  dalla  Carta  costituzionale.
Invero, i regolamenti del  Consiglio  trovano  derivazione  indiretta
dalla  Costituzione   e   fondamento   specifico   nella   previsione
legislativa di cui all'art. 9, commi 3 e 4, della legge  n.  195  del
1958 e negli articoli 4 e 7 della legge n. 1198 del 1967, attributiva
di una specifica potesta' normativa all'Organo  di  governo  autonomo
della Magistratura ai fini dell'adozione della disciplina sul proprio
funzionamento amministrativo. Il che spiega la ragione per  la  quale
il regolamento  di  contabilita'  abbia  la  forma  del  decreto  del
Presidente   della   Repubblica,   ma   la   natura   sostanzialmente
legislativa,   in   quanto   diretta   emanazione   della   autonomia
costituzionale del Consiglio superiore della Magistratura. 
    Nonostante, infatti, una  qualche  equivocita',  derivante  dalla
nozione di «regolamento», in realta' si tratta di una fonte  primaria
del diritto valevole nell'ordinamento generale, di natura  rafforzata
in quanto scaturente dall'attribuzione di  una  specifica  competenza
autorganizzatoria all'Organo,  quale  precipitato  logico  delle  sue
prerogative costituzionali. 
    Detta  fonte,  lungi  dall'essere  sono   interna   all'organismo
consiliare, e' di contro, ben produttiva di norme giuridiche in senso
proprio valevoli erga omnes, munite del crisma della specialita'.  La
stessa giurisprudenza amministrativa ha costantemente ritenuto che la
violazione  del  regolamento  portasse  a  configurare  il  vizio  di
violazione di legge e dovesse  determinare  l'annullamento  dell'atto
adottato in difformita'. 
    Appare,  allora,  evidente  che  la  disciplina  della   gestione
contabile presso il  Consiglio  trovi  la  sua  fonte  di  dettaglio,
sostanzialmente  esaustiva  e  completa,   proprio   nella   potesta'
regolamentare   e,   quindi,   attualmente   nel    regolamento    di
amministrazione e contabilita', approvato dall'assemblea plenaria  il
14 dicembre 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Serie generale -
e successive modificazioni. 
    Per ragioni di  completezza,  non  puo'  essere  omesso  come  il
medesimo regolamento, all'art. 51, stabilisca, con norma  di  rinvio,
che  «Per  quanto  non  disciplinato  dal  presente  regolamento   si
applicano le norme che disciplinano l'amministrazione del  patrimonio
e la contabilita' generale dello Stato, in quanto compatibili». 
    Tale norma finale  esprime  chiaramente  una  relazione  di  mera
chiusura, in cui il rapporto tra la legge ed  il  regolamento  appare
basato non sul criterio della  concorrenza  per  materia,  bensi'  su
quelli della sussidiarieta' e compatibilita' mediata. Le disposizioni
generali in materia di contabilita'  dello  Stato  trovano,  infatti,
applicazione solo ai casi e  alle  situazioni  che  non  trovano  nel
regolamento  una  propria  disposizione  regolatrice  e  nei  limiti,
inoltre, in cui esse appaiono conformi  all'assetto  organizzativo  e
contabile stabiliti dalla legge e dallo stesso regolamento. 
    L'art. 51 riveste, dunque, la tipica funzione della  clausola  di
salvezza, volta a coprire eventuali lacune del testo regolamentare  e
ad evitare il rischio di vuoti di disciplina,  ma  cio'  non  in  via
automatica   e   diretta,   ma   sempre    attraverso    l'operazione
interpretativa di richiamo rimessa al Consiglio, soprattutto ai  fini
della verifica del criterio di compatibilita'. 
    Deve quindi  concludersi  che  il  sistema  di  contabilita'  del
Consiglio superiore della Magistratura e' imperniato  sul  meccanismo
della «riserva di regolamento», in nome dei  principi  costituzionali
di autonomia e di indipendenza, tale per cui  le  norme  generali  di
diritto comune non godono mai  di  una  diretta  ed  immediata  forza
precettiva. 
    Proprio  a  tal  proposito,  non  puo'  allora  non  evidenziarsi
l'errore in cui la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della
Corte dei conti e' incorsa, nell'aver  ritenuto  che  «...  non  puo'
essere accordata alla fonte regolamentare con la quale  il  Consiglio
superiore della  Magistratura,  nell'esercizio  della  sua  autonomia
amministrativa e finanziaria, disciplina la propria gestione  interna
quella particolare forza normativa idonea  ad  eludere  l'obbligo  di
resa del conto giudiziale previsto da una norma  di  legge  di  rango
superiore, obbligo che la Corte costituzionale esclude solo  per  gli
organi costituzionali in senso stretto  o  cd.  supremi  (Parlamento,
Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale) e  che  lo  stesso
Consiglio  superiore  della  Magistratura,   riteneva   pacificamente
applicabile nei confronti dei suoi  agenti  contabili  fino  al  1996
(anno  in  cui  ha  modificato  il  proprio   regolamento   interno),
presentando i  relativi  conti  dinanzi  la  Sezione  giurisdizionale
Lazio» (testualmente, sentenza n. 70/2016 Sezione giurisdizionale per
la Regione Lazio - Corte dei conti). 
    Si e' gia' avuto modo di sottolineare come, nonostante  il  nomen
di «regolamento», in riferimento alla potesta' regolamentare  di  cui
e' titolare il Consiglio superiore  della  Magistratura,  si  sia  in
presenza di una fonte primaria del diritto valevole  nell'ordinamento
generale, di natura rafforzata in quanto scaturente dall'attribuzione
di una specifica competenza  auto-organizzatoria  dell'Organo,  quale
precipitato  logico  delle  sue  prerogative   costituzionali.   Essa
risulta, dunque, produttiva di  norme  giuridiche  in  senso  proprio
aventi effetti erga omnes, cosi' come espressamente riconosciuto  dal
giudice amministrativo che, si ripeta, ha costantemente ritenuto  che
la violazione del regolamento determinasse un vizio di violazione  di
legge, determinando,  cosi',  l'annullamento  dell'atto  adottato  in
difformita'. 
    La  potesta'  regolamentare  autonoma   conferma   la   posizione
costituzionale   privilegiata   del   Consiglio    superiore    della
Magistratura 
II.4. Il paradosso dell'assoggettamento a resa di conto degli  agenti
contabili e non dell'Organo. 
    Infine, va segnalato e confutato il tentativo  di  argomentazione
formalistica con cui la Corte dei conti pretende di assoggettare alla
resa di conto non l'Organo, ma i suoi agenti. 
    Nella sentenza n. 70 del 2016 piu' volte citata, si  afferma  che
«occorre eliminare un equivoco di fondo: al giudizio di conto non  e'
assoggettato il Consiglio superiore della Magistratura,  e  tantomeno
l'attivita' di autogoverno cui l'Organo e' deputato,  ma  gli  agenti
che  operano  nel  suo  ambito  nell'esercizio   di   mera   gestione
amministrativa   senza   alcun   collegamento   con    la    funzione
costituzionale al predetto Organo assegnata». 
    Sostiene la Sezione giurisdizionale per la  Regione  Lazio  della
Corte dei conti che «Il Consiglio superiore della  Magistratura,  pur
essendo un organo di rilevanza  costituzionale,  svolge,  per  quanto
riguarda l'attivita' meramente gestionale di cui si occupano  i  suoi
agenti   contabili,   funzioni   oggettivamente   e   soggettivamente
amministrative,   adottando   provvedimenti   di    gestione    dello
stanziamento  fissato  per  il  suo   funzionamento.   Dalla   natura
strettamente amministrativa della suddetta funzione, sia pure  di  un
organo  di  rilievo  costituzionale,  deriva  la  sottoposizione  del
Consiglio superiore della Magistratura  alla  legge,  alla  gerarchia
delle  fonti  ed  agli  organi  giurisdizionali  cui  per  legge   e'
subordinata la sua azione amministrativa  in  generale  e  a  maggior
ragione quella dei suoi agenti contabili». 
    Si tratta di un mero  artificio  retorico,  peraltro  gia'  speso
dalla Corte dei conti alla fine degli anni '70 per le due,  Camere  e
per la  Presidenza  delle  Repubblica  e  radicalmente  confutato  da
codesta Corte nella sentenza n. 129 del 1981. 
    La  Corte  dei   conti   sembra   dimenticare   che   l'attivita'
amministrativa e contabile, per quanto materialmente posta in  essere
dai singoli agenti responsabili, comunque esprime  le  determinazioni
di spesa  dell'ente,  ed  e'  quindi  fondamentale  nel  definire  le
concrete strategie materiali di azione amministrativa che l'Organo  -
nella propria autonomia - sceglie di perseguire per la  realizzazione
delle funzioni costituzionali che gli sono attribuite. 
    Tutti i soggetti cui e'  attribuita  la  gestione  delle  risorse
dell'ente agiscono, dunque, quali organi  esponenziali  di  esso,  in
piena immedesimazione organica. 
    Il controllo sugli agenti costituisce un  controllo  sull'Organo,
radicalmente   incostituzionale   alla   luce   dei   principi   gia'
considerati.