Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato del Consiglio superiore della Magistratura, in persona del vice-presidente pro tempore Giovanni Legnini, rappresentato e difeso, come da procura a margine del presente atto, dal prof. avv. Alfonso Celotto (C.F. CLTLNS66B23C129E) presso il cui studio, in Roma, alla via Emilio de' Cavalieri, n. 11, elegge domicilio (si desidera ricevere le informazioni inerenti il giudizio a mezzo indirizzo di pec: alfonso.celotto@pec.it ovvero al fax al n. 06-84085170); Contro la Corte dei conti, in persona del legale rappresentante pro tempore in relazione alla illegittima pretesa di assoggettare alla resa del conto ai sensi dell'art. 44 del regio decreto n. 1214 del 1934, l'Organo di autogoverno della Magistratura (pretesa resa esplicita sia nella nota della Procura regionale Lazio n. 362-21/05/2015-AASG-LAZ-Pm-P dell'11 giugno 2015, sia nella successiva sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio 17 febbraio 2016, n. 70, emessa all'esito del giudizio iscritto con il n. 74322/2015); Fatto 1. Con nota n. 362-21/05/20I5-AASG-LAZ-Pm-P dell'11 giugno 2015 (doc. n. 1), seguendo l'orientamento emerso a conclusione di due conferenze dei presidenti tenute in materia di conti giudiziali nel corso del 2014 e al fine di aggiornare l'anagrafe dei soggetti titolari di gestioni di denaro, beni o valori assoggettabili alla resa del relativo conto, il presidente della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio invitava formalmente il Consiglio superiore della Magistratura a comunicare i nominativi e le funzioni specifiche di coloro i quali dovessero essere qualificati agenti contabili operanti nel proprio ambito e a presentare i conti a partire dall'anno 2010, essendo risultato che l'ultimo conto giudiziale era stato presentato nel 1999. 2. Con nota di risposta del 31 luglio 2015 (doc. n. 2), il Segretario generale del Consiglio superiore della Magistratura comunicava, che il Comitato di presidenza aveva deliberato di rispondere che il Consiglio superiore della Magistratura non rientrava nel novero degli enti sottoposti ai doveri di rendicontazione periodica alla Corte dei conti secondo la disciplina degli articoli 44 e seguenti del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Questo «per via del particolare regime di autonomia regolamentare e contabile che caratterizza l'Organo di governo autonomo della Magistratura, in ragione della sua speciale collocazione costituzionale». Nello specifico, il Consiglio superiore della Magistratura ribadiva che, quale organo costituzionale, in analogia a quanto statuito espressamente da codesta ecc.ma Corte costituzionale per le Camere e la Presidenza della Repubblica, non sussistesse, per esso, l'obbligo di resa del conto giudiziale degli agenti contabili nel proprio ambito operanti e qualificabili come tali. Ricordava, inoltre, come, nell'esercizio della potesta' regolamentare che gli e' propria, il Consiglio superiore della Magistratura, con deliberazione del 27 giugno 1996, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 158 dell'8 luglio 1996 (doc. n. 3), avesse realizzato un sostanziale cambio di funzionamento del regime delle verifiche di legittimita' dell'operato in materia contabile, garantendo, con la scelta di elevate e specifiche professionalita', un controllo puntuale, serio e costante, al di fuori del circuito della rendicontazione applicabile alla generalita' degli enti dello Stato. Con l'introduzione del nuovo strumento di controllo della gestione sono venute meno, infatti, le norme regolamentari che sancivano la sottoposizione alla giurisdizione pubblica di conto, proprio al fine di realizzare la piena autonomia del Consiglio superiore della Magistratura, che passa anche tramite l'autonomia contabile. A seguito di cio', ormai dal 1997 il Consiglio - pacificamente - non presenta piu' tale rendicontazione alla Corte dei conti. 3. Con atto di richiesta di pronuncia della Sezione giurisdizionale ai sensi dell'art. 30, comma 2, del regio decreto n. 1038 del 1933, notificato in data 10 settembre 2015 (doc. n. 4), il magistrato relatore per i Conti erariali presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio riteneva di non condividere le conclusioni del Comitato di presidenza del Consiglio superiore della Magistratura e, pertanto, richiedeva una pronuncia della Sezione in sede collegiale ai sensi dell'art. 30, comma 2, del regio decreto n. 1038 del 1933, ordinando, in caso di esito positivo, entro un termine prestabilito, la resa dei conti giudiziali degli agenti contabili operanti in seno allo stesso Consiglio superiore della Magistratura, individuabili, alla luce del regolamento di amministrazione e contabilita', nelle figure dell'istituto cassiere, dell'economo e del consegnatario dei beni. In tale atto, l'estensore affermava di non condividere la tesi del Comitato di presidenza del Consiglio superiore della Magistratura, reclamando la generale sottoposizione di tutti gli organi pubblici all'obbligo di rendicontazione periodica alla Corte dei conti con la sola esclusione degli organi costituzionali «supremi». 4. In data 24 dicembre 2015, si costituiva nel giudizio il Consiglio superiore della Magistratura, il quale, in via principale, chiedeva alla Corte dei conti di voler dichiarare l'insussistenza dell'obbligo della resa del conto da parte degli agenti contabili operanti nel proprio ambito, in ossequio alla sua peculiare collocazione istituzionale, quale, cioe', amministrazione, di vertice di un settore, costituzionalmente separato dall'attivita' amministrativa e di governo, ed in considerazione, altresi', della autonomia finanziaria e di bilancio e dell'autonoma potesta' regolamentare di cui risulta titolare. Chiedeva altresi', in via subordinata, di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, per contrasto con gli articoli 3, 101, 103 e 104 della Costituzione. All'udienza del 14 gennaio 2016, mentre il pubblico ministero aderiva alla tesi della sussistenza dell'obbligo della resa del conto da parte degli agenti contabili operanti in seno al Consiglio superiore della Magistratura; la difesa di quest'Organo insisteva per la tesi contraria, attesa la propria natura di Organo del potere «sovrano», come tale costituzionalmente garantito. 5. In data 17 febbraio 2016, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per il Lazio depositava la sentenza n. 70/2016 (doc. n. 5), con la quale dichiarava gli agenti contabili operanti nell'ambito del Consiglio superiore della Magistratura, come individuati nel regolamento di amministrazione e contabilita' dello stesso Consiglio superiore della Magistratura - ovvero, l'istituto cassiere, l'economo ed il consegnatario dei beni - soggetti al giudizio di conto di competenza della Corte dei conti e, per l'effetto, ordinava «al Consiglio superiore della Magistratura di depositare i conti degli agenti contabili, come sopra indicati, relativi all'anno 2014, entro 120 (centoventi) giorni dalla notifica della presente sentenza, tramite il servizio di ragioneria del Consiglio superiore della Magistratura dopo che lo stesso ne avra' effettuato il controllo apponendovi il visto di regolarita'». In virtu' del mandato a margine al presente atto, il Consiglio superiore della Magistratura ritenendo radicalmente incostituzionale la pretesa della Corte dei conti, eleva, pertanto, con il presente ricorso, conflitto ai sensi degli articoli 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, per violazione degli articoli 3, 101, 103, 104 della Costituzione, per i seguenti motivi di Diritto I. Sull'ammissibilita' del ricorso. I.1. Sotto il profilo soggettivo. Pacifica e' la competenza del Consiglio superiore della Magistratura, in quanto Organo di autogoverno della Magistratura, a promuovere conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato. Risulta, infatti, dall'art. 104 della Costituzione che l'istituzione del Consiglio superiore della Magistratura ha rappresentato la apposita garanzia costituzionale della autonomia della Magistratura, cosi' da collocarla nella posizione di «ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» e, conseguentemente, sottrarla ad interventi suscettibili di turbarne comunque l'imparzialita' e di compromettere l'applicazione del principio consacrato all'art. 101 della Costituzione, secondo cui i giudici sono soggetti solo alla legge. Come ben noto, l'autonomia delineata dall'art. 104 della Costituzione attiene alla struttura organizzativa e opera rispetto a tutti gli altri poteri dello Stato: essa si realizza nei confronti del potere esecutivo, in quanto l'indipendenza della Magistratura sarebbe compromessa se i provvedimenti afferenti la progressione in carriera dei magistrati (art. 105 della Costituzione) e, piu' in generale, lo status fossero attribuiti al potere esecutivo. Il Consiglio superiore della Magistratura e' quindi il garante dell'indipendenza della Magistratura. L'autonomia si realizza, poi, anche nei confronti del potere legislativo, nel senso che i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 della Costituzione). Il carattere di organo costituzionale competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere (giudiziario) cui appartiene (ex art. 37 della legge n. 87 del 1953) deriva, dunque, al Consiglio superiore della Magistratura dalla funzione ad esso attribuita: spetta, infatti, all'Organo di autogoverno garantire l'autonomia e l'indipendenza della Magistratura di fronte agli altri poteri, in applicazione del fondamentale principio di divisione dei poteri. Questa serie di garanzie si compone e si struttura proprio nella posizione autonoma e indipendente del Consiglio superiore della Magistratura, la cui legittimazione attiva a proporre ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato e', quindi, del tutto pacifica. Del resto, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha gia' avuto modo di pronunciarsi sul punto, affermando, nella sentenza 15 settembre 1995, n. 435 che «Anche per quanto riguarda il profilo soggettivo del ricorso, va innanzitutto confermata la legittimazione del Consiglio superiore della Magistratura a sollevare conflitto di attribuzione, in quanto, come prima detto, organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 105 della Costituzione ...». Sul versante della legittimazione passiva, per quanto occorra, invece, la legittimazione della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti (e comunque della Corte dei conti), quale organo del potere giurisdizionale diffuso, e' pure fuori discussione. Come noto, infatti, anche nell'ambito della giurisdizione contabile, quello giurisdizionale e' un potere «diffuso» (si veda la sentenza n. 231 del 1975), sicche' ogni sua componente, nell'esercizio di funzioni giurisdizionali delle quali si ritenga titolare, puo' essere parte di conflitti. Ad abundantiam, pare utile richiamare l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte in ordine alla legittimazione passiva della Corte dei conti nei conflitti tra poteri dello Stato: valga, per tutte, la sentenza 10 luglio 1981, n. 129 (in cui venne affermata l'ammissibilita' - e poi la fondatezza - del conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, con riguardo alla analoga pretesa della Corte dei conti di sottoporre a giudizio di conto i tesorieri della Presidenza della Repubblica, della Camera e del Senato). I.2. Sotto il profilo oggettivo. Sotto il profilo oggettivo, ricorrono certamente i requisiti previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo cui i conflitti tra poteri dello Stato devono avere ad oggetto «la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata fra i vari poteri da norme costituzionali», trattandosi di conflitto di evidente tono costituzionale. Nel caso di specie, il Consiglio superiore della Magistratura rivendica l'integrita' delle proprie prerogative costituzionali, rispetto alla pretesa della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio di assoggettare alla propria giurisdizione di conto gli agenti contabili in esso operanti. Ne discende una grave lesione all'autonomia costituzionale del Consiglio superiore della Magistratura medesimo, per come garantita dall'art. 101 e seguenti della Costituzione. Ritiene, inoltre, il Consiglio che la pretesa di cui alla citata sentenza costituisca il frutto di un'applicazione del tutto irragionevole dell'ambito della giurisdizione di conto, in spregio agli articoli 3 e 103 della Costituzione, a sua volta determinata da un'interpretazione impropria, illegittima ed incostituzionale dell'art. 44 del regio decreto n. 1214 del 1934. In sostanza, la scrivente difesa ritiene che, qualora effettivamente la giurisdizione contabile della Corte dei conti si estendesse agli agenti contabili nel proprio ambito operanti, da cio' deriverebbe la menomazione della sfera di competenza costituzionalmente tutelata. Evidente, dunque, come una simile prospettazione dimostri incontrovertibilmente l'esistenza della materia di un conflitto (in base all'art. 37, comma 4, della legge n. 87 del 1953), circa l'estensione della giurisdizione propria della Corte dei conti, nel rapporto con l'autonomia organizzativa e funzionale rivendicata dal Consiglio superiore della Magistratura. E', infatti, principio ormai consolidato nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale che la figura dei conflitti di attribuzione «non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (sent. 26 giugno 1970, n. 110). Anche sotto tale profilo, pacifica appare, dunque, l'ammissibilita' del presente ricorso. II. Nel merito: erronea e illegittima interpretazione dell'art. 44 regio decreto n. 1214 del 1934 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 103, nonche' degli articoli 3, 101 e 104 della Costituzione. L'illegittima pretesa della Corte dei conti di assoggettare il Consiglio superiore della Magistratura alla propria giurisdizione di conto, di cui alla nota n. 362- 21/05/2015-AASG-LAZ-Pm-P, nonche' alla sentenza n. 70/2016 emessa dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, presta il fianco a molteplici censure, le quali si risolvono in altrettante lesioni dell'autonomia e menomazioni delle prerogative costituzionali di cui gode il Consiglio superiore della Magistratura. II.1. La deroga alla resa del conto in favore degli organi costituzionali. Innanzitutto, l'assoggettamento del Consiglio superiore della Magistratura a resa di conto contrasta con l'assetto costituzionale della divisione dei poteri, come declinato nelle garanzie di autonomia e indipendenza. Non a caso codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito che all'obbligo di rendiconto contabile sono sottratti gli organi costituzionali. Nella sentenza 10 luglio 1981, n. 129, si e' nitidamente precisato che le gestioni contabili degli organi costituzionali non possano essere sottoposte al giudizio della Corte dei conti, posto che un siffatto esame non sarebbe compatibile con l'autonomia delle valutazioni spettanti alle due Camere e alla Presidenza della Repubblica. «... L'esenzione dei loro agenti contabili dai giudizi di conto rappresenta, viceversa, il diretto riflesso della spiccata autonomia di cui tuttora dispongono i tre organi costituzionali ricorrenti. Tale autonomia si esprime anzitutto sul piano normativo, nel senso che agli organi in questione compete la produzione di apposite norme giuridiche, disciplinanti l'assetto e il funzionamento dei loro apparati serventi; ma non si esaurisce nella normazione, bensi' comprende - coerentemente - il mancato momento applicativo delle norme stesse, incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l'osservanza. Rispetto alla materia del presente conflitto, cio' significa da un lato che spetta alle Camere del Parlamento ed alla Presidenza della Repubblica dettare autonomamente le disposizioni regolamentari che ognuno di tali organi ritenga piu' opportune per garantire una corretta gestione delle somme affidate ai rispettivi tesorieri; e comporta d'altro lato che rientri nell'esclusiva disponibilita' di detti organi, senza di che la loro autonomia verrebbe dimezzata, l'attivazione dei corrispondenti rimedi, amministrativi od anche giurisdizionali». E' evidente che il controllo contabile esercitato dalla Corte dei conti interferisce gravemente con l'autonomo esercizio delle prerogative degli organi costituzionali, in ossequio alla divisione dei poteri. Da qui, dunque, l'inconferenza, l'erroneita' e la contraddittorieta' della pretesa dalla Corte dei conti di assoggettare ora a resa di conto il Consiglio superiore della Magistratura, discendendone una grave lesione dell'autonomia della Magistratura, come costituzionalmente riconosciuta e garantita. In buona sostanza, escludere dalla resa di conto gli organi costituzionali di vertice rappresenta la garanzia della autonomia costituzionale, nel pieno rispetto del principio dei freni e contrappesi con cui e' garantita nell'assetto repubblicano la divisione dei poteri. Per quel che riguarda la Magistratura, tale esclusione non puo' che riguardare il Consiglio superiore della Magistratura. E' sufficiente ricordare che ai sensi dell'art. 104 della Costituzione «La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». I successivi articoli declinano pienamente tale autonomia e indipendenza, riconoscendo, ad es., che «Spettano, al Consiglio superiore della Magistratura ... le assunzioni, le assegnazioni, ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati» (art. 105 della Costituzione) e che «I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio ne' destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della Magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso» (art. 107 della Costituzione). Il ruolo e la posizione del Consiglio superiore della Magistratura, secondo principi ben noti e consolidati, rende immune la Magistratura da ogni possibile interferenza di qualsivoglia altro potere dello Stato. Stando cosi' le cose, non occorre dilungarsi per mettere in rilievo quanto stonerebbe con l'impianto costituzionale la soggezione del Consiglio superiore della Magistratura al giudizio di conto, al pari di qualsiasi organo esecutivo della macchina statale. Insomma, e' evidente che la capacita' espansiva della giurisdizione di conto di cui all'art. 103 della Costituzione non possa interferire con l'autonomia costituzionale, come, invece, la Corte dei conti (tramite l'invito formale prima, e la sentenza n. 70/2016 poi) pretenderebbe di fare, dando cosi' luogo ad un'evidente violazione delle prerogative costituzionali del Consiglio superiore della Magistratura. Ne viene ad essere toccata la soggezione dei giudici alla sola legge, per come sancita nell'art. 101 della Costituzione, in ossequio a principi secolari. E cosi' via. Per tale ragione il conflitto qui posto e' evidentemente fondato, seguendo a pieno quanto statuito da codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 129 del 1981, a fronte di analoga pretesa avverso le due Camere e la Presidenza della Repubblica. Ad avviso della scrivente difesa non occorrerebbe ulteriormente argomentare in proposito, data l'evidenza della lesione. Tuttavia, l'importanza e la delicatezza del tema, a garanzia dei principi costituzionali supremi, spinge a offrire ulteriori dettagli. A tal fine, si confutera' l'impostazione interpretativa seguita dalla Corte dei conti nel caso di specie, si ribadira' la posizione costituzionale del Consiglio superiore della Magistratura e infine si porra' in evidenza l'erroneita' delle tesi propugnate dalla Corte dei conti nella sentenza n. 70 del 2016. II.2. Interpretazione incostituzionale dell'art. 44 del regio decreto n. 1214 del 1934. La tesi sostenuta dal magistrato relatore per i conti erariali della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio ed accolta dalla medesima Sezione con la sentenza n. 70/2016, si basa su una interpretazione impropria, illegittima e incostituzionale dell'art. 44 del regio decreto n. 1214 del 1934. Tale articolo, nel definire l'ambito di applicazione del giudizio di conto della Corte dei conti, non individua in maniera dettagliata il novero degli enti, che hanno la gestione delle risorse dello Stato e cui si deve applicare il controllo periodico attraverso il giudizio di conto. Recita, infatti, la norma: «La Corte giudica, con giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprieta' dello Stato, e di coloro che si ingeriscono anche senza legale autorizzazione negli incarichi attribuiti ai detti agenti. La Corte giudica pure sui conti dei tesorieri ed agenti di altre pubbliche amministrazioni per quanto le spetti a termini di leggi speciali». E' ben noto che il tema della definizione dell'ampiezza dell'ambito di applicabilita' agli enti dello Stato della giurisprudenza contabile della Corte dei conti e' stato, ed e' tuttora, oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale, alla luce dei c.d. effetti espansivi di tale giurisdizione, derivanti dal precetto di cui all'art. 103 della Costituzione, secondo cui «La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica e nelle altre specificate dalla legge». Ad ogni modo, a fronte della «vaghezza» normativa dell'art. 44 del citato regio decreto, sin dagli anni '60 del secolo scorso, tanto la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale (sentenza 3 giugno 1966, n. 55), come quella della Suprema Corte di cassazione (sezioni unite, n. 2616 del 1968), hanno affermato la generalizzazione della giurisdizione contabile, automaticamente espansibile alle materie di contabilita' pubblica e subordinata, invece, alla volonta' del legislatore nelle altre materie. In particolare, pero', e' stata codesta ecc.ma Corte a chiarire l'ambito di operativita' della giurisdizione di conto. E' stata, cosi', riconosciuta la sussistenza di un netto limite al potere espansivo della giurisdizione di conto, affermandosi che l'attivita' amministrativo-contabile degli organi pubblici aventi natura costituzionale ne e' esclusa. L'obbligo di rendiconto, quindi, non puo' essere esteso automaticamente a tutti gli agenti contabili che maneggino pubblico danaro, ma solo a quelli per i quali sussista una identita' oggettiva di situazioni derivanti dall'esistenza di una normazione contabile che richiama quella di contabilita' dello Stato. Gia' nella sentenza n. 110 del 1970, codesta Corte ha riconosciuto «il principio tendenzialmente generale del secondo comma dell'art. 103 della Costituzione», pur senza escludere, pero', che la concreta attuazione di tale principio possa richiedere, in particolari settori, «l'intervento di apposite disposizioni legislative», concludendo, dunque, che «soltanto laddove ricorra identita' oggettiva di materia, e beninteso entro i limiti segnati da altre norme e principi costituzionali, il principio dell'art. 103 conferisca capacita' espansiva alla disciplina dettata dal testo unico del 1934 per gli agenti contabili dello Stato, consentendone l'estensione a situazioni non espressamente regolate in modo specifico» (poi, sentenza n. 102 del 1977). Il principio e' stato magistralmente ribadito nella sentenza n. 129 del 1981: «... questa Corte ha piu' volte ritenuto - a partire dalla sentenza n. 110 del 1970 - che "il principio dell'art. 103 conferisca capacita' espansiva alla disciplina dettata dal testo unico del 1934 per gli agenti contabili dello Stato, consentendone l'estensione a situazioni non espressamente regolate in modo specifico". Ma in quella stessa pronuncia si avverte che l'espandersi della giurisdizione costituzionalmente attribuita alla Corte dei conti, lungi dall'essere incondizionato, deve considerarsi circoscritto "laddove ricorra identita' oggettiva di materia, e beninteso entro i limiti segnati da altre norme e principi costituzionali". Ed in questi termini si e' ancor piu' chiaramente espressa la sentenza n. 102 del 1977: nella quale la Corte - sia pure dichiarando inammissibili le proposte questioni di legittimita' costituzionale delle norme sulla responsabilita' civile degli amministratori e dipendenti degli enti locali - ha in sostanza escluso che il precetto stabilito dal comma 2 dell'art. 103 della Costituzione sia caratterizzato da una "assoluta (e non tendenziale) generalita'" e sia dunque dotato d'"immediata operativita' in tutti i casi".». Codesta ecc.ma Corte, quindi - pur riconoscendo ampia portata alla disciplina del testo unico del 1934, anche sulla base della prescrizione dell'art. 103, comma 2, della Costituzione - ne ha affermato l'operativita' «entro i limiti segnati da altre norme e principi costituzionale». Ne discende che «deroghe alla giurisdizione» contabile operano naturalmente «nei confronti di organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato, e percio' situati al vertice dell'ordinamento, in posizione di assoluta indipendenza e di reciproca parita'» (testualmente, sentenza n. 129 del 1981). Non v'e' chi non veda come in tale fattispecie, derogatoria alla generale sottoposizione alla giurisdizione di conto della Corte dei conti, rientri anche il Consiglio superiore della Magistratura in quanto Organo «situato al vertice dell'ordinamento» giudiziario ed in «posizione di assoluta indipendenza» (art. 104 della Costituzione), rispetto ad ogni altro potere. In buona sostanza, la giurisdizione di conto deve essere bilanciata con l'autonomia degli organi costituzionali, in maniera da contemperare i controlli con i principi della divisione dei poteri. Tale «esenzione rappresenta un riflesso dell'autonomia di cui gli organi costituzionali considerati dispongono che non si esaurisce nella normazione, comprendendo anche il momento applicativo delle norme stesse, dato che altrimenti quell'autonomia verrebbe dimezzata dall'attivazione dei corrispondenti rimedi amministrativi, ed anche giurisdizionali» (ancora Corte costituzionale, n. 129 del 1981). Tali principi rendono, dunque, evidente che ai fini di definire concretamente l'applicabilita' degli obblighi di rendiconto stabiliti dall'art. 44 regio decreto n. 1214 del 1934 e' necessario porre in essere una verifica in concreto della specificita' dell'ente, della sua collocazione costituzionale e dell'ordinamento complessivo che il Costituente ed il Legislatore hanno conferito al soggetto potenzialmente oggetto di controllo. In questo contesto, appare del tutto erroneo interpretare l'art. 44 nel senso di estendere ad un organo costituzionale quale il Consiglio superiore della Magistratura il controllo contabile, rappresentando una irragionevole e palese violazione degli articoli 3 e 103 della Costituzione. Cio' chiarito, va ricordato che la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti cerca, invece, di appigliarsi alla sentenza di codesta ecc.ma Corte, 25 luglio 2001, n. 292, con la quale e' stato respinto l'analogo conflitto di attribuzioni in merito sollevato dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalla Provincia autonoma di Trento. Tale richiamo si palesa, ai fini della vicenda de qua, assolutamente inconferente, oltreche' contraddittorio. Inconferente, perche' tale sentenza si inserisce in un solco giurisprudenziale differente, che ammette la possibilita' degli enti di governo locale, in particolare quelli espressivi di enti territoriali dotati di autonomia statutaria riconosciuta dalla Costituzione, di sottrarsi alla giurisdizione della Corte dei conti (cfr. gia' la sentenza n. 110 del 1970, che ha definito il conflitto sollevato dalla Regione autonoma della Sardegna, e la sentenza n. 211 del 1972, relativa invece al conflitto sollevato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia). Contraddittorio, perche' la Corte dei conti ne desume che la deroga alla giurisdizione contabile operi solo per gli organi costituzionali «supremi», senza tener conto la differenza fra le autonomie territoriali e gli organi di vertice dell'impianto costituzionale. Basta una sola considerazione, sul punto. Per quel che riguarda il potere giudiziario, quale e' l'organo costituzionale supremo se non proprio il Consiglio superiore della Magistratura? In altre parole, la posizione delle autonomie territoriali, dotate di autonomia statutaria e non certo costituzionale, non sono certo estensibili all'Organo di governo autonomo della Magistratura, il quale - lo ripetiamo - opera in posizione di sostanziale autonomia e di separatezza rispetto alle amministrazioni dello Stato, secondo i tradizionali canoni della divisione dei poteri. II.3. Collocazione istituzionale, autonomia finanziaria e regolamentare del Consiglio superiore della Magistratura. In secondo luogo, la Corte dei conti cerca di sostenere la portata generale della estensione della giurisdizione di conto. Portata che va invece limitata nel bilanciamento e nel rispetto delle autonomie costituzionali, come gia' sopra richiamato e sancito in maniera esemplare nella sentenza n. 129 del 1981. Per ribadire la assoluta estraneita' del Consiglio superiore della Magistratura rispetto alla giurisdizione contabile, puo' quindi essere opportuno richiamare ulteriormente la peculiare collocazione costituzionale del Consiglio superiore della Magistratura, in considerazione della quale emerge in maniera palese la non applicabilita' della giurisdizione di conto. Tale Organo costituzionale, infatti: a) non fa parte delle amministrazioni pubbliche; b) e' dotato di una propria autonomia finanziaria; c) e' dotato di una potesta' regolamentare autonoma. Procediamo per gradi. a) Collocazione istituzionale del Consiglio superiore della Magistratura. Va ricordato come per consolidata giurisprudenza costituzionale il Consiglio superiore della Magistratura «non e' parte della Pubblica amministrazione (in quanto rimane estraneo al complesso organizzativo che fa capo direttamente ... al Governo dello Stato ...)» (Corte costituzionale, sentenza n. 44/1968). Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare che «Per prima cosa, comunque si voglia qualificarlo in sede dogmatica, si tratta di un organo di sicuro rilievo costituzionale ... Cio' che piu' conta, dal nesso fra i commi 1 e 2 dell'art. 104 della Costituzione e' stato desumere - come la Corte ha osservato nella sentenza n. 44 del 1968 (per poi riaffermarlo nella sentenza n. 12 del 1971) - "che l'istituzione del Consiglio superiore della Magistratura ha corrisposto all'intento di rendere effettiva, fornendola di apposita garanzia costituzionale, l'autonomia della Magistratura, cosi' da collocarla nella posizione di ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere". E la Corte ha ulteriormente precisato - nella sentenza n. 142 del 1973 - che "strumento essenziale di siffatta autonomia, e quindi della stessa indipendenza dei magistrati nell'esercizio delle loro funzioni, che essa e' istituzionalmente rivolta a rafforzare, sono le competenze attribuite al Consiglio superiore dagli articoli 105, 106 e 107 della Costituzione" ... e' nella logica del disegno costituzionale che il Consiglio sia garantito nella propria indipendenza, tanto nei rapporti con altri poteri quanto nei rapporti con l'ordine giudiziario, "nella misura necessaria a preservarlo da influenze" che potrebbero indirettamente pregiudicare "l'esercizio imparziale dell'amministrazione della giustizia"» (sentenza n. 148 del 1983). Il Consiglio superiore della Magistratura, dunque, al pari delle altre istituzioni costituzionali, non fa parte delle amministrazioni pubbliche menzionate dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001. Va, infatti, rammentato che il testo unico sul pubblico impiego del 2001 reca l'elencazione esaustiva dell'ambito delle pubbliche amministrazioni, utilizzato in tutte le ipotesi in cui occorre definire il perimetro del «pubblico». Tale disposizione fa riferimento esplicito alle «amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunita' montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300». Si tratta di una nozione che declina in maniera compiuta i soggetti che fanno riferimento alla nozione di Stato-amministrazione (tradizionalmente intesa in contrapposizione al concetto di Stato-ordinamento) e cosi' identifica l'intero universo delle pubbliche amministrazioni statali in senso soggettivo, ossia la totalita' degli organi statali e locali che formano il potere esecutivo ed hanno il proprio vertice del governo. Il Consiglio superiore della Magistratura fa, invece, capo alla nozione di Stato-ordinamento, quale amministrazione di vertice di un settore (la giurisdizione), che e' espressione di un potere autonomo ai sensi dell'art. 101 e seguenti della Costituzione, costituzionalmente separato dall'attivita' amministrativa e di governo. Si tratta di un organo in posizione costituzionale di sostanziale autonomia e quindi di separatezza rispetto alle amministrazioni dello Stato, sia con riguardo alla loro attivita', sia con riferimento alla loro organizzazione interna. La ratio dell'esclusione della disciplina dettata dal testo unico sul pubblico impiego agli organi facenti capo alla nozione di Stato-ordinamento si coglie agevolmente nella pressante esigenza di preservare l'autonomia di tali organi, non solo con riguardo alla loro attivita', ma anche, in funzione di essa, con riferimento alla loro organizzazione interna. Dalla mancata inclusione del Consiglio superiore della Magistratura nel novero delle amministrazioni pubbliche discende la sottrazione alla disciplina e ai controlli tipici delle amministrazioni statali, quale la giurisdizione di conto. b) Autonomia finanziaria e di bilancio del Consiglio superiore della Magistratura. Per espressa previsione di legge il Consiglio superiore della Magistratura e' dotato di una spiccata autonomia finanziaria e di bilancio, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 195 del 1958. Al fine di rafforzare l'autonomia e l'indipendenza della Magistratura, nei termini voluti dalla Costituzione, si e' previsto, infatti, che l'Organo fosse destinatario per il suo funzionamento di un fondo annuale stanziato in modo diretto, con un unico capitolo, nello stato di previsione di spesa del Ministero del tesoro, attualmente Ministero dell'economia. Tale norma, per come modificata ad opera della legge n. 1198 del 1967, prevede che «Il Consiglio superiore della Magistratura provvede all'autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento, nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato. Il predetto stanziamento viene collocato, con unico capitolo, nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro. Il Consiglio superiore della Magistratura, con proprio regolamento interno, stabilisce le norme dirette a disciplinare la gestione delle spese. Il rendiconto della gestione viene presentato alla Corte dei conti alla chiusura dell'anno finanziario. Restano a carico del Ministero di grazia e giustizia gli stipendi sia per i magistrati componenti del Consiglio sia per i magistrati e per il personale addetto alla segreteria del Consiglio medesimo». Il citato art. 9 ha sancito, dunque, l'abbandono del precedente sistema delle spese di funzionamento del Consiglio nel bilancio del Ministero di grazia e giustizia ed ha attribuito all'Organo di autogoverno dell'ordine giudiziario la potesta' di gestire autonomamente le spese per il proprio funzionamento. Si e' attribuito al Consiglio il potere di autonomamente erogare, per la realizzazione dei propri compiti, i mezzi finanziari messi a disposizione con lo stanziamento del bilancio statale. Tale inquadramento normativo consente al Consiglio superiore della Magistratura di essere inserito nella ripartizione delle unita' revisionali di base relative al bilancio di previsione dello Stato disposta dal Ministero dell'economia per ogni anno finanziario nell'apposita tabella 2 fra gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale che possono godere, in virtu' della loro collocazione istituzionale, della piu' ampia autonomia finanziaria e di bilancio (proprio tale circostanza sembra, dunque, suggerirti la possibilita' di estendere anche al Consiglio superiore della Magistratura quanto statuito da codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 129 del 1981, in relazione al Parlamento e alla Presidenza della Repubblica). E' cosi' consentita al Consiglio la necessaria stabilita' nella programmazione delle proprie attivita', secondo le previsioni del proprio regolamento di amministrazione e contabilita', senza essere quindi esposto di interventi di modifica della spesa pubblica durante il corso di esercizio annuale del bilancio dello Stato. Nello schema ordinamentale vigente, le potesta' di autonoma gestione si articolano, dunque, nell'attribuzione dell'autonomia contabile che si sostanza nella autonomia del procedimento della spesa e' nell'autonomia amministrativa che consiste nella stessa potesta' di impegnare la spesa. Con la potesta' di autonoma gestione la nuova disciplina ha, quindi, attribuito al Consiglio anche il potere di stabilire con il proprio regolamento interno le norme dirette a disciplinare la gestione delle spese, al fine di garantire all'Organo di governo autonomo dell'ordine giudiziario, in adempimento al precetto di cui all'art. 104 della Carta costituzionale, la piena autonomia e la piena indipendenza funzionale, quali presupposti indispensabili per assicurare al Paese il buon funzionamento della giustizia. Cio' ricordato, e passando ora ad esaminare ancora piu' specificamente le soluzioni regolamentari del Consiglio superiore della Magistratura circa la propria autonomia contabile deve rilevarsi che il primo regolamento di amministrazione e contabilita' del Consiglio superiore, approvato con delibera del 24 gennaio 1969, prevedeva tra i compiti dell'Ufficio di amministrazione e contabilita', all'art. 32, lettera g), l'invio alla Corte dei conti del consuntivo approvato e, alla lettera h), «verificare il conto giudiziale che l'economo-cassiere deve rendere alla Corte dei conti per la sua gestione, opponendovi il visto di concordanza». Il Consiglio aveva cioe' all'epoca ritenuto di conformare il proprio statuto contabile, sotto il profilo in questione, alle regole relative alla generalita' delle amministrazioni dello Stato. Nel 1996, con deliberazione del 27 giugno (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 158 dell'8 luglio 1996), il Consiglio, nel rinnovato utilizzo della sua potesta' regolamentare, realizzando una piu' marcata separazione dagli enti sottoposti al regime generale della contabilita' dello Stato, pur costituendo un rigido presidio di garanzia della correttezza della gestione, ha modificato la struttura di controlli esistenti, introducendo all'art. 36, il Collegio dei revisori dei conti. La norma recita: «E' istituito il Collegio dei revisori dei conti, composto da un presidente di sezione della Corte dei conti, in servizio o in quiescenza, che lo presiede, e da due componenti scelti tra magistrati della Corte dei conti e professori universitari ordinari di contabilita' pubblica o discipline similari. Il presidente ed i componenti del Collegio sono nominati dal Consiglio, su proposta del Comitato di presidenza e previo parere della Commissione bilancio. Essi durano in carica quattro anni e non possono essere confermati. 2. Il Consiglio determina il compenso del presidente e dei componenti del Collegio dei revisori dei conti». La nuova disciplina ha quindi realizzato un sostanziale cambio di funzionamento del regime delle verifiche di legittimita' dell'operato in materia contabile dell'Organo di governo autonomo della Magistratura, garantendo, con la scelta di elevate e specifiche professionalita', un puntuale costante e serio controllo, al di fuori del circuito della rendicontazione applicabile alla generalita' degli enti dello Stato. Con l'introduzione del nuovo strumento di controllo della gestione sono scomparse infatti le norme regolamentari che sancivano, la sottoposizione alla giurisdizione pubblica di conto. Tale disciplina viene declinata nell'art. 48 del vigente regolamento di amministrazione e contabilita', ove si disciplina il Collegio dei revisori dei conti stabilendo che «1. Il controllo sulla regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale, nonche' sulla corretta ed economica gestione delle risorse e sulla trasparenza, imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa e' affidato al Collegio dei revisori dei conti ...». Il successivo art. 49 definisce il contenuto della relazione del Collegio dei revisori dei conti: «1. Nella relazione del Collegio dei revisori dei conti sul rendiconto annuale sono evidenziati: a) l'andamento della gestione finanziaria e gli effetti di questa sulla consistenza dei beni patrimoniali; b) le variazioni eventualmente apportate al bilancio nel corso dell'esercizio; c) le variazioni intervenute nella consistenza dei beni. 2. Il Collegio riferisce sulla regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale, secondo gli elementi tratti dagli atti ad esso sottoposti o da quelli da esso richiesti e dalle verifiche periodiche effettuate, con cadenza trimestrale, nel corso dell'esercizio nonche' sulla corretta ed economica gestione delle risorse e sulla trasparenza, imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa.». A seguito delle innovazioni regolamentari descritte, fin dal 1997 il Consiglio superiore non ha, quindi, piu' dato luogo alla rendicontazione periodica finalizzata al giudizio di conto avanti alla Conte dei conti secondo l'art. 44 del testo unico n. 1214/1934, ritenendosi estraneo a tale giurisdizione. Da allora e fino a tutto il 2014, per quasi vent'anni, la Corte dei conti ha pacificamente accettato che il Consiglio superiore della Magistratura non rendesse piu' il conto, in quanto Organo estraneo alla giurisdizione contabile. Ancor piu' irrazionale appare oggi, che senza alcuna modifica normativa o di impianto, la Corte dei conti pretenda invece la resa del conto, dando cosi' luogo ad una grave lesione dell'autonomia che la Costituzione riconosce, invece, espressamente a tale Organo. c) Potesta' regolamentare autonoma. Il riferimento alla potesta' regolamentare autonoma, anche contabile, costituisce un precipitato logico giuridico della sfera intangibile di autonomia assicurata dalla Carta costituzionale. Invero, i regolamenti del Consiglio trovano derivazione indiretta dalla Costituzione e fondamento specifico nella previsione legislativa di cui all'art. 9, commi 3 e 4, della legge n. 195 del 1958 e negli articoli 4 e 7 della legge n. 1198 del 1967, attributiva di una specifica potesta' normativa all'Organo di governo autonomo della Magistratura ai fini dell'adozione della disciplina sul proprio funzionamento amministrativo. Il che spiega la ragione per la quale il regolamento di contabilita' abbia la forma del decreto del Presidente della Repubblica, ma la natura sostanzialmente legislativa, in quanto diretta emanazione della autonomia costituzionale del Consiglio superiore della Magistratura. Nonostante, infatti, una qualche equivocita', derivante dalla nozione di «regolamento», in realta' si tratta di una fonte primaria del diritto valevole nell'ordinamento generale, di natura rafforzata in quanto scaturente dall'attribuzione di una specifica competenza autorganizzatoria all'Organo, quale precipitato logico delle sue prerogative costituzionali. Detta fonte, lungi dall'essere sono interna all'organismo consiliare, e' di contro, ben produttiva di norme giuridiche in senso proprio valevoli erga omnes, munite del crisma della specialita'. La stessa giurisprudenza amministrativa ha costantemente ritenuto che la violazione del regolamento portasse a configurare il vizio di violazione di legge e dovesse determinare l'annullamento dell'atto adottato in difformita'. Appare, allora, evidente che la disciplina della gestione contabile presso il Consiglio trovi la sua fonte di dettaglio, sostanzialmente esaustiva e completa, proprio nella potesta' regolamentare e, quindi, attualmente nel regolamento di amministrazione e contabilita', approvato dall'assemblea plenaria il 14 dicembre 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - e successive modificazioni. Per ragioni di completezza, non puo' essere omesso come il medesimo regolamento, all'art. 51, stabilisca, con norma di rinvio, che «Per quanto non disciplinato dal presente regolamento si applicano le norme che disciplinano l'amministrazione del patrimonio e la contabilita' generale dello Stato, in quanto compatibili». Tale norma finale esprime chiaramente una relazione di mera chiusura, in cui il rapporto tra la legge ed il regolamento appare basato non sul criterio della concorrenza per materia, bensi' su quelli della sussidiarieta' e compatibilita' mediata. Le disposizioni generali in materia di contabilita' dello Stato trovano, infatti, applicazione solo ai casi e alle situazioni che non trovano nel regolamento una propria disposizione regolatrice e nei limiti, inoltre, in cui esse appaiono conformi all'assetto organizzativo e contabile stabiliti dalla legge e dallo stesso regolamento. L'art. 51 riveste, dunque, la tipica funzione della clausola di salvezza, volta a coprire eventuali lacune del testo regolamentare e ad evitare il rischio di vuoti di disciplina, ma cio' non in via automatica e diretta, ma sempre attraverso l'operazione interpretativa di richiamo rimessa al Consiglio, soprattutto ai fini della verifica del criterio di compatibilita'. Deve quindi concludersi che il sistema di contabilita' del Consiglio superiore della Magistratura e' imperniato sul meccanismo della «riserva di regolamento», in nome dei principi costituzionali di autonomia e di indipendenza, tale per cui le norme generali di diritto comune non godono mai di una diretta ed immediata forza precettiva. Proprio a tal proposito, non puo' allora non evidenziarsi l'errore in cui la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti e' incorsa, nell'aver ritenuto che «... non puo' essere accordata alla fonte regolamentare con la quale il Consiglio superiore della Magistratura, nell'esercizio della sua autonomia amministrativa e finanziaria, disciplina la propria gestione interna quella particolare forza normativa idonea ad eludere l'obbligo di resa del conto giudiziale previsto da una norma di legge di rango superiore, obbligo che la Corte costituzionale esclude solo per gli organi costituzionali in senso stretto o cd. supremi (Parlamento, Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale) e che lo stesso Consiglio superiore della Magistratura, riteneva pacificamente applicabile nei confronti dei suoi agenti contabili fino al 1996 (anno in cui ha modificato il proprio regolamento interno), presentando i relativi conti dinanzi la Sezione giurisdizionale Lazio» (testualmente, sentenza n. 70/2016 Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio - Corte dei conti). Si e' gia' avuto modo di sottolineare come, nonostante il nomen di «regolamento», in riferimento alla potesta' regolamentare di cui e' titolare il Consiglio superiore della Magistratura, si sia in presenza di una fonte primaria del diritto valevole nell'ordinamento generale, di natura rafforzata in quanto scaturente dall'attribuzione di una specifica competenza auto-organizzatoria dell'Organo, quale precipitato logico delle sue prerogative costituzionali. Essa risulta, dunque, produttiva di norme giuridiche in senso proprio aventi effetti erga omnes, cosi' come espressamente riconosciuto dal giudice amministrativo che, si ripeta, ha costantemente ritenuto che la violazione del regolamento determinasse un vizio di violazione di legge, determinando, cosi', l'annullamento dell'atto adottato in difformita'. La potesta' regolamentare autonoma conferma la posizione costituzionale privilegiata del Consiglio superiore della Magistratura II.4. Il paradosso dell'assoggettamento a resa di conto degli agenti contabili e non dell'Organo. Infine, va segnalato e confutato il tentativo di argomentazione formalistica con cui la Corte dei conti pretende di assoggettare alla resa di conto non l'Organo, ma i suoi agenti. Nella sentenza n. 70 del 2016 piu' volte citata, si afferma che «occorre eliminare un equivoco di fondo: al giudizio di conto non e' assoggettato il Consiglio superiore della Magistratura, e tantomeno l'attivita' di autogoverno cui l'Organo e' deputato, ma gli agenti che operano nel suo ambito nell'esercizio di mera gestione amministrativa senza alcun collegamento con la funzione costituzionale al predetto Organo assegnata». Sostiene la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti che «Il Consiglio superiore della Magistratura, pur essendo un organo di rilevanza costituzionale, svolge, per quanto riguarda l'attivita' meramente gestionale di cui si occupano i suoi agenti contabili, funzioni oggettivamente e soggettivamente amministrative, adottando provvedimenti di gestione dello stanziamento fissato per il suo funzionamento. Dalla natura strettamente amministrativa della suddetta funzione, sia pure di un organo di rilievo costituzionale, deriva la sottoposizione del Consiglio superiore della Magistratura alla legge, alla gerarchia delle fonti ed agli organi giurisdizionali cui per legge e' subordinata la sua azione amministrativa in generale e a maggior ragione quella dei suoi agenti contabili». Si tratta di un mero artificio retorico, peraltro gia' speso dalla Corte dei conti alla fine degli anni '70 per le due, Camere e per la Presidenza delle Repubblica e radicalmente confutato da codesta Corte nella sentenza n. 129 del 1981. La Corte dei conti sembra dimenticare che l'attivita' amministrativa e contabile, per quanto materialmente posta in essere dai singoli agenti responsabili, comunque esprime le determinazioni di spesa dell'ente, ed e' quindi fondamentale nel definire le concrete strategie materiali di azione amministrativa che l'Organo - nella propria autonomia - sceglie di perseguire per la realizzazione delle funzioni costituzionali che gli sono attribuite. Tutti i soggetti cui e' attribuita la gestione delle risorse dell'ente agiscono, dunque, quali organi esponenziali di esso, in piena immedesimazione organica. Il controllo sugli agenti costituisce un controllo sull'Organo, radicalmente incostituzionale alla luce dei principi gia' considerati.